A scuola lo chiamavamo Iena ridens. Se ne stava all’ultimo banco, capelli attorcigliati, denti verdi, orecchie e unghie sporche. Puzzava già di par suo e in più faceva partire loffie incredibili, per le quali veniva anche chiamato il loffione, e di soprannomi ne aveva un’infinità, da sorcio in avanti, e ve li lascio immaginare… Aveva un cognome che proprio non ricordo, finiva per u, ma per noi era solo Iena ridens e dicevamo… che cazzo ha da ridere sempre. Il primo mese nei corridoi non si parlava d’altro, poi fu dimenticato, là in fondo alla classe, e anche i professori, dopo qualche interrogazione nella quale scoprirono che era intelligentissimo e imparava solo stando seduto ad ascoltare, preferirono lasciarlo nel suo fetore, lontano. Solo la nuova professoressa di scienze, una terrona con i denti all’infuori e le gambe storte, lo interrogava, e anzi finì che interrogava solo lui, perché i due se la intendevano in quella materia, e lui era veramente un mostro e ne sapeva almeno quanto lei. Una domenica in primavera feci una passeggiata a Milano con la mia ragazza e al parco li vidi insieme, seduti su una panchina, mano nella mano. Non ci credevo, e siccome ero un adolescente pronto a qualsiasi scherzo per ridere degli altri incominciai a tramare, e presi informazioni sulla prof, ma quando scoprii che in un solo giorno aveva perso i genitori e l’unico fratello in un incendio, mi diedi del coglione e per espiare scrissi una poesia intitolata Cuori solitari che si incontrano, o qualcosa del genere, e non dissi mai a nessuno quello che avevo visto, nel terrore che la notizia finisse sui giornali, con titoli del tipo professoressa quarantenne aspetta un bimbo da alunno minorenne. All’inizio dell’anno successivo né l’una né l’altro si presentarono a scuola, e in quei giorni la polizia era sempre in presidenza, e un giorno la notizia finì addirittura in televisione, perché il sospetto era che il corpo di donna trovato in un bosco senza la testa fosse quello della professoressa di scienze. Iena ridens intanto era tornato a vivere al paese, fra pecore e capre, e non ha mai saputo, a oggi, di condividere il suo atroce segreto con me.
di Riccardo Ventolin, illustrazione di Renato Pegoraro
Il racconto del giorno feriale (dagli autori della nostra scuola di scrittura SCRIVERE IL CORTO)
- Mio nonno
- La gara
- Il marionettista ovvero il Tredicesimo arcano circense
- Una tranquilla domenica di guerra
- Viola
- Il cavallino rampante
- Italia Germania 4-3
- Sansone & Dalila
- Il maestro del tè
- Lungo il fiume
- Flock
- I ragazzi down e il significato dell’arte
- 11 maggio 1999
- Al Sass de Stria
- Pasqua 1985
- Regalo di Natale
- I luoghi mai raggiunti da mio padre
- Luce ferma
- L’attore
- Un angelo caduto
- La scarpa
- Luna bianca (Mwezi)
- La vecchia tigre
- Ero lì
- La palla ovale
- Neve di febbraio
- Milano Marittima, 1959
- E la neve scendeva fitta
- Hanno ucciso l’uomo ragno
- Seconda stella a destra
- Il mio ragazzo di colore verde
- La prima cena
- Appuntamento con la felicità (ovvero i colori dell’amore)
- I muscoli del Capitano, parte seconda
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