Il Professore. Così mi chiamano, e questo mi consente di mantenere una certa distanza da quel gruppo di analfabeti che detengono il potere. Magro, basso, occhialetti tondi alla Gramsci, Borsalino e farfallino tutto l’anno. Lo stile non è acqua.
Mi guardano spesso tra il rispetto e l’invidia. Loro, che vanno in giro vestiti in modo dozzinale e con chilate d’oro attaccate al collo. Alla fine sono certo che mi disprezzano. Basta guardarli quando parlottano tra loro, indicandomi.
Gente per la quale il denaro è l’unica cosa che conta davvero. Ma io sono indispensabile. Gestisco tutti i beni della Famiglia, come viene chiamata. A volte mi viene da ridere. Io che una famiglia non l’ho mai voluta, né cercata. E ora mi trovo, obtorto collo, a condividerne una.
Mi ricordo quando arrivai qui nel Meridione da piccolo imprenditore del Nord. I sogni in tasca, la solita burocrazia e i soldi che non bastano mai. Le persone sbagliate presentate dalle persone sbagliate, e in poco tempo un buco finanziario incolmabile. Fino al ricatto di dover lavorare per loro. In quarant’anni ne ho viste di ogni genere. Capitali entrano, investimenti escono, in mercati finanziari che pochi conoscono. Non è più come ai tempi di Al Capone, ora i soldi si fanno con i soldi. E pensare che, da polentone quale sono, questi terroni mi sono sempre stati sulle palle. In occasione dei dieci anni di “onorato servizio” mi hanno anche affiliato alla Famiglia. Sembrava una cerimonia di iniziazione. Mi hanno costretto a indossare questo anello da Padrino che ho sempre odiato. Oro massiccio con una pietra violacea e uno stemma araldico. Che cafonata. E dire che una volta messo non sono più riuscito a levarlo, neanche col sapone. Mi ricorda i legami esistenti, e mi obbliga a non dimenticarli. La Famiglia non si lascia. Mai.
Ed è questo che mi è pesato di più, e mi ha convinto a scappare. A quasi settant’anni, chiuso in una camera a centinaia di chilometri da casa, in fuga. Gli ultimi anni li voglio vivere da uomo libero. Ma ho troppi segreti con me, ho visto troppe cose, sono stato testimone di troppe schifezze. Mi viene da ridere, un Clyde in fuga senza la sua Bonnie.
Quanto durerò? Non lo so, ma ero arrivato a provare disgusto di me stesso. Un semplice cassiere può seminare gentaglia che cerca le persone e le uccide per mestiere? Forse è il caso di fermarsi, e aspettare la fine qui, in un posto anonimo. In fondo, è meglio così. Piuttosto che farsi freddare mentre scappo in un vicolo cieco.
Passi davanti alla porta della mia camera.
Mi scolo le ultime gocce di Bourbon, e chiudo gli occhi.
E pensare che non ho mai sopportato gli spari.
di Gianluca Fiore
Il racconto del giorno feriale (dagli autori della nostra scuola di scrittura SCRIVERE IL CORTO)
- Mio nonno
- La gara
- Il marionettista ovvero il Tredicesimo arcano circense
- Una tranquilla domenica di guerra
- Viola
- Il cavallino rampante
- Italia Germania 4-3
- Sansone & Dalila
- Il maestro del tè
- Lungo il fiume
- Flock
- I ragazzi down e il significato dell’arte
- 11 maggio 1999
- Al Sass de Stria
- Pasqua 1985
- Regalo di Natale
- I luoghi mai raggiunti da mio padre
- Luce ferma
- L’attore
- Un angelo caduto
- La scarpa
- Luna bianca (Mwezi)
- La vecchia tigre
- Ero lì
- La palla ovale
- Neve di febbraio
- Milano Marittima, 1959
- E la neve scendeva fitta
- Hanno ucciso l’uomo ragno
- Seconda stella a destra
- Il mio ragazzo di colore verde
- La prima cena
- Appuntamento con la felicità (ovvero i colori dell’amore)
- I muscoli del Capitano, parte seconda
- La prima stella
- Nuvole, 2050
- Nikolajevka (26 gennaio 1943)
- Un mondo senza colori
- Infinite strade
- Green card
- Finestre chiuse
- Nuvola Rossa
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