I PUNTI DI INTERPUNZIONE, come usarli
Non ho mai capito il doppio uso della grammatica che fanno in molti. Da una parte un mostro sacro: lo dice la grammatica! Dall’altra la negazione di principi e suggerimenti.
Vorrei affrontare questo tema, in una paginetta, pur sapendo che ci potrei scrivere un libro, e allora scelgo un solo capitolo per accennare all’argomento, ed è quello della punteggiatura e dei punti d’interpunzione.
Tutto è risolto dalla grammatica stessa, che si esprime in modo molto chiaro: non vi sono regole nella punteggiatura.
L’ultimo capitolo dell’Ulisse di Joyce, quello di Penelope, settanta pagine senza un segno di punteggiatura, fu scritto nel 1922, cent’anni fa. Ciononostante ci sono ancora professoroni, che oggi hanno trovato in internet il terreno a loro più adatto, che disquisiscono su ogni singola virgola.
La cosa però più deprimente è quando costoro, di norma analfabeti in materia, si spendono in messaggi di marketing per richiamare l’attenzione di altrettanti analfabeti, con lo scopo, a volte addirittura dichiarato, di essere i depositari di sacri riferimenti, gli unici a garantire l’editing che trasformerà i suddetti in scrittori di successo.
Un elemento della formazione di questi autentici venditori di fumo è di conquistare innanzitutto la fiducia della vittima. Tanti libri e tanti film ne hanno parlato. Cito La casa dei giochi di David Mamet con Joe Mantegna (1987), che affronta in modo diretto l’importanza di acquisire fiducia da parte della vittima designata.
Il capitolo che più si presta è quello dei segni di interpunzione nei discorsi diretti. I professoroni fanno copia e incolla da una qualsiasi grammatica e mettono in guardia i neofiti aspiranti scrittori che guai, se si usano i caporali, guai a mettere il punto finale all’interno, va fuori! Per chi usa il trattino, guai a… Ne ho letto uno che diceva: questa informazione ve l’abbiamo data gratis, se ne volete altre sono a pagamento.
La grammatica è una guida, un’indicazione indispensabile, ma non è legge scritta su pietra. Tanto è vero che le regole cambiano secondo l’uso corrente.
Le case editrici, di norma, nei discorsi diretti impongono le proprie scelte, per cui i caporali, le virgolette o i trattini che vi trovate sono per tutti uguali.
Nella nostra piccola casa editrice lasciamo invece libertà all’autore, perché ci sembra giusto rispettare le sue preferenze, al quale magari i caporali non vanno giù e si sente a proprio agio con le virgolette o i trattini. È ovvio che se Mondadori fosse interessato a una mia pubblicazione e mi chiedesse i caporali, io userei i caporali. Ragazzi! Non sono questi i problemi della scrittura. Dopo il punto esclamativo di “Ragazzi !” ci va la virgola? Non sono questi i problemi. La grammatica, ve lo assicuro, non si offende. Anzi, da quella grande madre che è, ama i figli che prendono iniziative e vanno ad abitare da soli.
Vi porto la mia esperienza. Per i discorsi diretti fra virgolette, trattino e caporali io ho scelto il trattino. So bene che la grammatica indica il trattino lungo, per distinguerlo da quello breve che ha significato di unione e non ha relazione con il dialogo, ma a me piace di più quello breve. Alla fine, dovete ammetterlo, non si confondono, così come la grammatica dice di non accentare il do verbo perché nel contesto non può essere scambiato con la nota do.
Sento già il raglio provenire dai social specializzati, che campano sulle inezie.
Alessandra dice che i simboli vanno rispettati. Beh, a questo punto, se riuscirò a capire come si fa sulla tastiera, adotterò il trattino lungo.
continua l’11 maggio
Abramo Vane, giornalista e scrittore, insegna alla Scuola di Scittura delle Edizioni IL CAVEDIO. Ha pubblicato libri di narrativa, d’arte, di poesia.
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