Flock era un cane, ma non sapeva di esserlo. Era un pastore bergamasco e custodiva tre pecore, che lui considerava bambine, correvano indisciplinate, andavano su e giù dalla molera, e qualcuno diceva che praticavano “free climbing”. Flock, pur capace di discernimento, non sapeva come fare a convincerle che era pericoloso. La molera era alta, e se le pecore si buttano giù è sempre colpa del pastore che non sa guidare, custodire. Così Flock abbaiava e attirava la loro attenzione, prevenendo ogni sciagura.
Ma dentro di sé sapeva cosa vuol dire provare quella speciale gioia a misurare le proprie forze, proprio lui, taglia media, agile, veloce e resistente.
Nella sua onorata esistenza aveva tre sogni proibiti, li nascondeva sotto il ciuffo di peli per non mostrare gli occhi e rivelare i pensieri.
Il primo era di pizzicare le gambe di Beppe, il ragazzo della fattoria che ogni sera consegnava il latte. Una volta l’aveva rincorso, lo sciocco aveva lasciato cadere la bottiglia piena e il latte si era sparso per terra. Adesso, sgolandosi, lo sgridava, e Flock strofinava il muro per non passargli vicino.
Il secondo sogno lo aveva quasi esaudito, la volta che aveva inseguito il prete che veniva a benedire le case, un uomo alto, con la tunica lunga, nera. Quel giorno era di guardia, s’era sfilato il collo dal collare della catena e laveva fatto scappare, oh come correva, l’aveva raggiunto e addentato appena alla veste prima di essere afferrato dal padrone. Quanto l’aveva menata solo per un per pezzetto di stoffa.
Il terzo sogno, il più grande, forse un’ossessione che richiedeva una grande perizia, era quello di battere il “ciuff-ciuff”, il treno a vapore che alla sera passava accanto alla casa. Flock era sicuro di essere più veloce, e si allenava quando portava a spasso le tre pecore. Che corse esaltanti, che goduria sentire il pelo arruffato pettinato dal vento!
Sapeva sempre quando il drago-treno stava arrivando, udiva il “ciuff-ciuff” prendere velocità dopo essersi fermato alla stazione dietro la curva.
Una sera si liberò della catena in tempo, lo sguardo concentrato del predatore che attende la preda, la bocca aperta, la lingua penzoloni, i canini in vista. “Questa volta lo prendo, non mi scappa, lo agguanto”, pensava mentre sentiva il vento soffiare più forte e cercava di fermarlo, di spingerlo indietro. Ma lui amava il vento, era il suo alleato, ogni pensiero svaniva quando correva: la casa, la catena, le pecore. Nel vento era libero, non sentiva più nulla, nemmeno le bambine che, terrorizzate, quella sera gli urlavano di fermarsi. Flock corse invece più veloce, raggiunse il treno. Uno sulle rotaie, lui sul sentiero. Il treno, il vento… corsero, e poi… poi si incontrarono. Bum!
Di Elda Caspani
Il racconto del giorno feriale (dagli autori della nostra scuola di scrittura SCRIVERE IL CORTO)