di Mita Bolzoni
Morivano tutte all’ombra delle nostre foglie.
Si accovacciavano senza un lamento e lasciavano che la vita le abbandonasse.
Nessuno riusciva a capire perché.
Noi potevamo solo custodire tra i rami il silenzio che le avvolgeva e le conduceva lontano, nel posto da cui nessuno torna. Vennero uomini vestiti di bianco, parlavano sottovoce, compievano i pazienti gesti necessari per scoprire le cause, per rimuovere i corpi che di giorno in giorno aumentavano. Anch’essi godevano della nostra ombra, nel duro lavoro senza risposte.
La recinzione che proteggeva la riserva, di cui gli uomini vestiti di bianco andavano fieri, in quei giorni finì per delimitare un misterioso inferno.
Sono state avvelenate, dicevano, qualcuno vuole distruggere il nostro paradiso.
Le nostre foglie oscillavano giocose nel breve vento del mattino, cullando i loro dubbi rabbiosi.
Intanto i corpi si ammucchiavano con solenne dolcezza ogni notte, sotto una stupefatta luna, poggiando le lucide schiene ai nostri tronchi nodosi, tentennando le grandi corna ritorte, guardando un punto distante.
Indagarono, capirono, non era come sospettavano.
Nessun bracconiere le aveva avvelenate, i loro stomaci erano risultati vuoti.
Le antilopi si erano lasciate morire di fame.
Fu così che la recinzione del paradiso cominciò ad essere guardata con occhi nuovi, perché avrebbe dovuto preservarle da ogni pericolo ma si era rivelata la loro tomba.
Erano morte le antilopi, sempre di più, erano morte ai nostri piedi e nessuno aveva potuto fare nulla.
Tra i nostri rami restava impigliato soltanto il loro ultimo desiderio: fuggire.
Ma anche noi non possiamo fuggire, siamo alberi di acacia, e le antilopi prigioniere in quel paradiso non facevano che nutrirsi di noi, continuamente.
Non avevamo scelta, dovevamo difenderci.
Le nostre foglie predate oltremisura reagirono producendo tannino, che le rese impossibili da digerire, mentre dai nostri pori si sprigionava rapido il gas etilene, che raggiunse le nostre sorelle e le avvertì del pericolo, cosicché anch’esse potessero difendersi nello stesso modo.
La tossina aumentava nelle foglie, ogni giorno di più. Nessuno poteva fermarci, eccetto le antilopi, che avrebbero potuto bloccare la produzione di tannino semplicemente spostandosi a cercare altre piante.
Ma non potevano.
Prigioniere della riserva, si nutrirono di noi finché capirono che eravamo cambiate.
Allora pur di sfuggire al veleno si lasciarono morire di fame. Cadevano all’ombra delle nostre foglie, cercando con gli occhi umidi alberi irraggiungibili, che crescono solo dove la terra è libera.
Mita Bolzoni è nata a Como il 24 giugno 1970. Si occupa di teatro, scrittura e pittura. Il lavoro sul corpo in scena guida e ispira anche i suoi racconti e i suoi quadri. Vive sulle montagne del Lario e la natura è la sua fonte di ispirazione quotidiana.
Selezione di racconti da XI Concorso “Il Corto letterario e l’illustrazione”, NARRATIVA (Scrivere il corto) ALBERI NEL MONDO ( Sezione dedicata a Maniglio Botti)
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