Nuvolari

Nuvolari

Lo chiamavano Nuvolari perché al volante era un asso.
Gli avevano cucito addosso quel soprannome da un momento all’altro, però gli piaceva, sapeva di cielo e di sogni.
Ironia del destino, guidava un’Alfa rossa come il grande Tazio. Se c’era qualcosa di cui non era a corto erano proprio i sogni; al contrario i soldi non bastavano mai.
Campava con un misero impiego da meccanico, eppure nessuno meglio di lui sapeva mettere a punto un motore.
Era successo anche con il quattro cilindri boxer di Corsaiola, la sua Alfa, capitata un pomeriggio sul ponte dell’officina.
Millesette, sedici valvole, centotrentasette cavalli, fu amore appena alzato il cofano.
Da quelle parti bazzicavano certi tipi loschi che organizzavano corse clandestine di automobili; aveva bisogno di soldi per mettere le ali ai suoi sogni e quella era la sua occasione.
Ben presto scoprì di avere talento per la velocità e conobbe l’ebbrezza della vittoria.
Di trionfo in trionfo la posta in palio cresceva, gli avversari si facevano più agguerriti e lui sempre un soffio più veloce di loro.
Decise di correre un’ultima volta, poi via per sempre in qualche posto esotico.
Un giro completo del Grande Raccordo Anulare in notturna sarebbe stata la sua ultima gara.
Partenza all’una da via della Magliana e ritorno, per il primo al traguardo un cachet da cento milioni di lire.
L’esplosione di due grossi petardi e le macchine schizzarono oltre la linea di partenza.
I motori ruggivano, affondò sul pedale giusto prima della rampa d’ingresso del GRA e si portò in testa.
Le auto si allargarono fra le corsie, il ritmo di gara scandito dallo slalom nel traffico della notte; lui al comando, gli altri all’inseguimento.
Casal Lumbroso, Aurelia, Montespaccato, nel retrovisore guizzavano i lampeggianti delle pantere: quella sera si giocava a guardie e ladri.
Boccea, Casal del Marmo, Trionfale, i fari degli inseguitori non mollavano, ma non riuscivano ad avvicinarsi.
Non gli bastava vincere, era la sua ultima gara e doveva essere un’apoteosi.
Settebagni, Bufalotta, Nomentana, mille pensieri in testa, persino quell’ex pilota che raccontava di vedere sempre una donna in abito scuro sul sedile accanto superati i duecento all’ora.
Diceva che era a causa di certe endorfine che produceva il cervello sotto stress. Schiacciò a tavoletta per lasciarsi tutti alle spalle.
Non si era mai spinto a tanto; l’anteriore sinistra non resse, il mozzo saltò e la macchina entrò in testacoda. La Donna fece scivolare le spalline del vestito e lo tirò a sé.

d Daniele Bin, illustrazione di Lucia Casavola

Il racconto del giorno feriale (dagli autori della nostra scuola di scrittura SCRIVERE IL CORTO)


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