L’estate del conte

L’estate del conte

Anche oggi la Piana di Salinagrande è arroventata. Perfino il cavallo sembra percepire l’aria immobile che ci circonda, dove nessuno osa muoversi e anche gli animali cercano di risparmiare energia. Il sudore cola lungo il suo collo muscoloso. Trovo rifugio sotto un albero di fico, le Egadi mi guardano, circondate da un’atmosfera tremolante.
Comincio il mio giro di perlustrazione della proprietà, un’abitudine che ho ereditato da mio nonno. Il padrone deve sempre farsi vedere. Scendo verso il mare, oggi è giornata di mercato e nonostante il caldo i contadini sono arrivati dalle campagne per vendere il poco raccolto che la stagione arida gli ha concesso. Già percepisco i loro richiami, come se urlare più forte potesse cambiare la loro giornata.
Il mio obiettivo, però, è un altro. È il banco di frutta di Rosaria. Mi avvicino, e la scorgo mentre il profumo dei meloni e delle angurie mi colpisce, violento.
La guardo. Occhi penetranti, capelli corvini abbandonati lungo le spalle. Gocce colano con una lentezza estenuante tra i seni. La voce, roca, mi risveglia.
Comandi, signor Conte, anche oggi a mischiarsi col popolo? Fossi in lei me ne sarei stata sotto gli alberi di Villa delle Palme. Cosa le posso offrire?
La frutta la conosci te, meglio di me. Cosa vuoi suggerirmi?
Dipende quello che cerca, signor Conte. La frutta è come la vita. Il fico d’India è per chi non si ferma alle apparenze, per chi è disposto ad andare a fondo, a oltrepassare la superficie delle cose. Magari pagando qualcosa in più riesce, alla fine, a godere di splendidi sapori. Un po’ d’uva? Se vuole provare il dolce e l’aspro della vita senza chiedersi prima come sarà, senza sapere se sarà quel chicco a tradirti, l’uva è la frutta per lei. O la banana, che copre tutti i sapori, nessuno escluso, con la sua consistenza morbida e rassicurante?
Mi si avvicina. Dall’alto la sua scollatura diventa ipnotica. Mi rendo conto che le pulsazioni prendono un ritmo insolito. E che anche io sudo, e non so se per la temperatura.
Ma oggi fa caldo, Conte. È la giornata dell’anguria. Una giornata da stare sdraiati alla spiaggia giù alle Saline, con l’anguria a mollo nell’acqua. La si prende, si divide a metà, e si immerge la faccia nella polpa. Si beve, e si mangia. E poi, ancora col succo che cola, ci si bacia. Perché tutto, Conte, diventa dolce.
Ma mi scusi, Conte, come al solito divagavo. Che le posso dare?
Rosaria, dammi un pomodoro. Uno solo. Ma che sia grosso, e saporito. E morbido. Che lo possa mangiare anche chi i denti non li ha più.

di Gianluca Fiore

Il racconto del giorno feriale (dagli autori della nostra scuola di scrittura SCRIVERE IL CORTO)


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