I pensieri di quell’americano con la giacca di pelle nella veranda del Continental riempivano la notte de Il Cairo.
Hanno ritrovato Emelius Brown, l’insigne egittologo, a vagare senza meta nel deserto dopo oltre una settimana dalla sua scomparsa, in preda alle allucinazioni.
Versa ancora in condizioni critiche per le gravi ustioni riportate.
Nessuna notizia, invece, dei membri della sua spedizione: se e quando Brown si sveglierà, potrà chiarire il mistero della loro sorte. Di tanto in tanto ha degli improvvisi, violenti attimi di lucidità.
Si riscuote, fissa il vuoto con gli occhi sbarrati, emaciato in viso; la pelle bruciata lo rende grottesco, una sorta di spettro abbronzato.
Farnetica, una litania che gli sale dallo stomaco, e in mezzo poche frasi appena comprensibili.
Quelle parole mi hanno convinto che il professore e la sua squadra fossero sulle tracce della vera sepoltura della regina Baketurel, grande sposa reale del Faraone Ramesse IX.
Sembra che un papiro rinvenuto da Brown raccontasse l’inganno con cui lo scriba Amenemopet fosse riuscito a nascondere la tomba della sua signora.
La soluzione si cela dietro il bassorilievo di un disco solare rinvenuto dal professore. Raffigura l’Occhio di Ra -il dio Sole dalla testa di falco -stretto tra due serpenti ornati della corona delle regine d’Egitto. Immagine insolita, sosteneva Brown, ma identica a un’altra presente nella falsa sepoltura: certo la prova di quanto affermava il papiro.
Il professore ripete ossessivamente questa frase: “…all’ora in cui Ra-Horakhty sarà al suo apice, fissa lo sguardo del cobra volto in direzione di Osiride e quegli ti rivelerà la via… “.
Credo sia la chiave per risolvere questo rompicapo.
L’americano afferrò il fedora posato sul tavolo accanto al whiskey e se lo mise in testa. Sono noto per il mio scetticismo verso ogni forma di magia o superstizione, continuò versandosi un altro mezzo bicchiere, ma questa convinzione ora vacilla.
Il mito narra che l’Occhio fu inviato da Ra nelle vesti della terribile figlia Sekhmet, “La Potente”, a punire gli uomini che gli si erano ribellati.
Feroce e spietata, quasi sterminò l’intera umanità bruciandola con il suo respiro di fuoco.
L’insolita gravità delle ustioni ritrovate sul corpo di Brown mi ha rammentato quella leggenda e suscitato un brivido di terrore.
Un uomo gli si accostò: – Il professor Jones? Henry Jones Junior?
L’americano annuì portandosi il whiskey alle labbra.
– Vengo dal Dipartimento delle Antichità. Il professor Brown è morto. Prima di spirare ha ripetuto a lungo questa parola: sekhem… Jones trasalì: Potenza!

Racconto di Daniele Bin, illustrazione di Lucia Casavola

Il racconto del giorno feriale (dagli autori della nostra scuola di scrittura SCRIVERE IL CORTO)

IL CAVEDIO associazione culturale e sportiva dilettantistica APS ———————————————– segreteria1997@ilcavedio.org

Aveva sempre un cappello in testa, i pantaloni sciupati, le scarpe un poco sporche, sembrava uno come tanti, invece lui era l’uomo che scriveva nel vento, e io ero la sua ragazza, da quando avevo vent’anni ero la sua ragazza, e lui scriveva nel vento, scriveva per me, e io non sapevo leggere nel vento, avevo imparato a leggere i libri, e la mia libreria si ingrandiva ogni giorno, ma il mio ragazzo non scriveva libri, lui scriveva nel vento, e io lo amavo, era così dolce, e tenero, lo amavo per quello che era, e non so neanch’io il perché, a volte lo dimenticavo, e poi lo amavo ancora di più, lui scriveva e io non capivo, però lo amavo, lo amavo sempre, e sentivo che mi perdevo in lui, e volevo fuggire, e poi tornavo con il mio amore che era tutta me stessa… e un giorno nel bosco sentii le foglie tremare, mi voltai ed era il vento, e nel vento lessi le parole, le parole che il mio ragazzo aveva scritto per me, e quelle parole sembrava di sentirle dalla sua voce, e il giorno dopo ancora, e ogni giorno leggevo nel vento… e quando noi due passavamo per strada, o stavamo con gli amici, eravamo solo marito e moglie, eravamo una coppia, come tante, e c’era la casa da mandare avanti, i bambini da crescere, il lavoro e la vita di tutti i giorni… e lui però scriveva nel vento, e io leggevo, e il nostro amore era il vento, e il vento sgretolava le montagne, e correva sul mare e tra le rose, e lui diceva che tanti scrivono ma pochi sanno leggere, e io allora gli dicevo che invece tanti leggono nel vento e pochi sanno scrivervi, e scherzavamo ancora come quando eravamo ragazzi, il tempo non era passato, e per noi c’era sempre un alito, anche quando nessuno lo sentiva… e io so una cosa, che alla fine del mondo, di tutti quei libri, di tutte quelle librerie e biblioteche, rimarranno solo le parole scritte nel vento.

di Anna Bentivoglio, illustrazione di Renato Pegoraro

Il racconto del giorno feriale (dagli autori della nostra scuola di scrittura SCRIVERE IL CORTO)

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