CINEMA E SCRITTURA, chi è nato prima?

Il cinema lo cito spesso. Qualcuno suggerisce di immaginare, scrivendo, le proprie pagine come se si vedessero sullo schermo. Bene. Molto bene.

Ci esprimiamo con parole, e le parole diventano immagini. A volte sono scenette da rappresentazioni amatoriali, ma in esse a ben guardare c’è la ricerca iniziale d’immagini forti, ben visibili. Esagero: epiche.

C’è ancora oggi qualcuno che si ostina a non considerare il cinema un’arte. Qualcun altro, al contrario, lo definisce la più autentica delle arti, perché moderna. Unisce il lavoro di molti, dal fotografo al costumista, dallo sceneggiatore al regista. Un lavoro d’equipe.

Condivido l’idea di uno scrittore che nella scrittura vede tutte le altre arti, dalla musica all’architettura, dalla poesia alla scultura. E il cinema nasce dalla scrittura. La mancanza di autori e di sceneggiatori si riflette nella sua crisi.

continua il 13 luglio

Abramo Vane, giornalista e scrittore, insegna alla Scuola di Scittura delle Edizioni IL CAVEDIO. Ha pubblicato libri di narrativa, d’arte, di poesia.

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LETTURE E ALTRE ARTI, con una finalità

Il consiglio dato tante volte, e che chiunque vi potrebbe fornire, è di leggere. In particolare ho specificato di rileggere più volte l’autore e le pagine preferite. Vorrei andare a fondo, nel consiglio.

A noi interessano solo le letture che ci danno uno stimolo. Non siamo semplici lettori che leggono per piacere. Vogliamo diventare scrittori, e quindi tutto sarà in funzione di questo, a partire proprio dalle letture, che sono certo alla base dei nostri desideri e che ci hanno incoraggiato.  Selezioniamole e, come abbiamo imparato a fare con le parole superflue, interrompiamole se non rispondono alla nostra esigenza. Un invito alla fantasia.

Finalizziamo la lettura a uno studio di stile e struttura. Cerchiamo di capire come sono formate le frasi, i periodi, i singoli capitoli e come tutto il romanzo e la storia stanno in piedi. Non per imitare, ma per trovare incitamenti.

Ugualmente le altre arti. Un quadro ci ispirerà idee narrative, così come l’ascolto della musica o l’andare a teatro. Di un film non ci interessa più di tanto il giudizio della critica o del pubblico, ma quali ispirazioni promuove in noi. E anche in questo caso rivediamolo senza contare le volte.

Cinema, arte, musica, teatro accompagnano la vita di tutti. La nostra in modo singolare.

continua il 6 luglio

Abramo Vane, giornalista e scrittore, insegna alla Scuola di Scittura delle Edizioni IL CAVEDIO. Ha pubblicato libri di narrativa, d’arte, di poesia.

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SI VIVE E SI MUORE, tutto il resto è letteratura

La penso proprio così. Quel tale che nacque in un quartiere malfamato della periferia romana, e che poi studiò in seminario, e infine fu uno dei primi produttori di film porno è un romanzo che ho in mente di scrivere. È una storia che già esiste, come quella citata sopra della ragazza dai capelli verdi, con un piercing al naso, bellissima, e con le ferite sul corpo di una guerra vicina… e non basta? E allora dirò di quei due ragazzi di Lecco che volevano sposarsi ma un ricco signore, invaghito della fanciulla, ne ostacolò le nozze, e poi successe l’epidemia causata dal coronavirus 19, e i cattivi morirono compreso il riccastro e i due giovani si sposarono, benedetti da padre Cristoforo… e via via tutti gli altri, i fratelli Karamazov, il Processo, la Commedia Umana e quella Divina, non sono forse storie di tutti i giorni? La letteratura è fuori dei libri, la vita di ognuno è un romanzo.

Raccontatela, e liberatevene. L’Infinito vi aspetta.

Continua il 29 giugno

Abramo Vane, giornalista e scrittore, insegna alla Scuola di Scittura delle Edizioni IL CAVEDIO. Ha pubblicato libri di narrativa, d’arte, di poesia.

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PENSIERO UNICO, non ci appartiene

Oggi lo chiamano mainstream. In questi ultimi tempi ha avuto grande successo.

Pandemia e guerra in Ucraina hanno contribuito a un suo quasi incontrastato dominio.

Non entro in merito agli argomenti. Non voglio discutere sui lockdown e sugli effetti dei vaccini, né sulla guerra e l’invio di armi. Quello che difendo è che ogni medico, addetto ai lavori, scienziato che sia possa esprimersi in libertà su fatti di medicina, così come ogni storico e giornalista possa dare la propria versione su avvenimenti di attualità.

Su come scrivere un romanzo ognuno dice la sua. Nelle pagine scritte abbiamo cercato noi stessi, ci siamo formati grazie a quei fogli bianchi. L’entusiasmo di vivere li ha riempiti di parole che sono nostre. Tanti uomini hanno combattuto per la libertà, tanti sono morti. La libertà non è un regalo. Se rinunciamo al pensiero non condizionato, mettiamo a rischio la nostra vita.

Qualcuno si prenderà il diritto di dettare le leggi della scrittura, di dire questo è bene e questo è male, ma noi abbiamo il dovere di dire la nostra, di difendere la libertà. Di combattere.

continua il 22 giugno

Abramo Vane, giornalista e scrittore, insegna alla Scuola di Scittura delle Edizioni IL CAVEDIO. Ha pubblicato libri di narrativa, d’arte, di poesia.

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LA FORMAZIONE DELLO SCRITTORE, che siamo qui a fare?

Se la nostra comprensione del mondo non si allarga ogni volta che risolviamo i problemi di scrittura sulla pagina scritta, che siamo qui a fare? Forse perché l’editore Furbacchione ci chieda ogni volta tremila euro vendendoci il più prezioso degli elisir? Vogliamo davvero vivere nell’illusione? In questo caso vi dico subito amici come prima. Non ho argomenti per convincervi del contrario.

Più avanti accenneremo alla novità dell’intelligenza artificiale, al transumanesimo, al meanstream. Argomenti di attualità, di cui parlare. Ho la speranza, in questo capitolo di Extra dry, di dare stimoli alla riflessione. L’obiettivo è la formazione dello scrittore, che per noi coincide con la visione realistica di un mondo nel quale i valori sono quelli che, in quanto valori, restano. 

continua il 15 giugno

Abramo Vane, giornalista e scrittore, insegna alla Scuola di Scittura delle Edizioni IL CAVEDIO. Ha pubblicato libri di narrativa, d’arte, di poesia.


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ESSERE SCRITTORE, ciò che conta davvero

Riporto molto volentieri il pensiero che un amico giornalista ripeteva nelle lezioni di giornalismo al Cavedio, è cioè che per essere un buon giornalista non è tanto importante saper scrivere quanto conoscere le persone. Una saggezza che a sua volta aveva appreso dal capo-redattore, che considerava il suo maestro. Oggi il mondo cambia, c’è internet e con esso si è sviluppato il fenomeno della fabbrica dei saputelli. Il computer fa delle cose che il neofita non conosce né immagina e così in un battibaleno diventa illustratore, editor, scrittore… dispensatore lui stesso di consigli.

Perdiamo la saggezza, la tradizione, quelli che furono i valori, e che lo sono ancora, perché i valori non cambiano nel tempo. Oggi non ci sono amici, ma competitor.

L’ultima cosa che serve a chi intraprende il percorso della scrittura è saper scrivere, che imparerà strada facendo. Occorre invece conoscere l’uomo, sé stessi… e a questa conoscenza ci si arriva crescendo nella scrittura.

continua il 1 giugno

Abramo Vane, giornalista e scrittore, insegna alla Scuola di Scittura delle Edizioni IL CAVEDIO. Ha pubblicato libri di narrativa, d’arte, di poesia.


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I CONTENUTI, quelli che esplodono dentro

E dopo tante parole, consigli sinceri, il vero successo è di portare sulla pagina bianca la nostra visione della vita. Se è forte, sarà lei a condizionare e a guidare la realizzazione della nostra opera. Gli stili innovativi, le pagine più alte della letteratura, i più grandi romanzi sono nati da qui, da un’esplosione di ciò che l’autore ha scoperto dentro di sé. Non esistono difetti tecnici davanti a tutto questo.

I dubbi sulla scrittura non li facciamo saltare senza dinamite, e la dinamite dobbiamo saperla usare. Occorre un’esplosione, non un semplice puff della bottiglia di champagne per festeggiare l’uscita del nostro libro nei salotti buoni o alle presentazioni in biblioteca e nelle librerie. È una rivoluzione, che nasce dentro, ed è incontenibile. Inevitabile, l’anima che conosce sé stessa.

continua il 25 maggio

Abramo Vane, giornalista e scrittore, insegna alla Scuola di Scittura delle Edizioni IL CAVEDIO. Ha pubblicato libri di narrativa, d’arte, di poesia.


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NUOVI LINGUAGGI, razionali o irrazionali?

Nel gruppo di lettura abbiamo affrontato l’Ulisse di Joyce in vista del Bloomsday del 16 giugno. La lettura di tre capitoli, dei quali il monologo finale di Molly Bloom. L’idea del flusso di coscienza in queste pagine raggiunge il massimo espressivo, e i lettori si sono interrogati su quanto la scrittura del Maestro segua davvero le manifestazioni fluttuanti dei pensieri, o quanto invece l’inevitabile supervisione dello scrittore. Joyce ha impiegato dieci anni a scrivere la sua opera. Nel flusso, dunque, l’irrazionalità e la confusione che attraversano la coscienza e la mente; nel lavoro di riscrittura la razionalità, il mettere a posto le cose, il lavoro di lima alla ricerca dell’armonia della pagina. Il flusso di coscienza perde dunque la sua naturalezza?

Da ragazzo commisi quello che molti ritengono un errore, cioè leggere Joyce troppo giovani. Nel mio piccolo però affrontai l’argomento, sotto l’influsso di altre letture, come lo Zarathustra di Nietzsche. Mi sentivo per diversi motivi attratto dall’irrazionale e, ricordo, ne discutevo con un’amica, sostenitrice della razionalità.

Vasco Rossi non aveva ancora scritto cerco un senso a questa vita anche se un senso non ce l’ha. Razionale e irrazionale. La mia trovata consisteva nel considerare l’irrazionale in due aspetti: quello che è in antitesi alla razionalità, e l’irrazionale che ne va oltre. E in quest’ultimo credevo, per superare i limiti ammessi dalla stessa razionalità.

Venendo ora a certe avanguardie di anni passati e ai nuovi linguaggi che nascono ogni giorno, mi sembra che la lezione del vecchio Jimmy sia attuale, nel momento in cui il suo lavoro di revisione razionale rispettava, e anzi sosteneva, l’intuizione del flusso di coscienza.

A coloro che dedicano tempo al proprio percorso di crescita nella scrittura il suggerimento è di compiere piccoli passi alla volta, con tanta umiltà. Non come quei pittori che fanno l’astratto senza conoscere il figurativo.

continua il 18 maggio

Abramo Vane, giornalista e scrittore, insegna alla Scuola di Scittura delle Edizioni IL CAVEDIO. Ha pubblicato libri di narrativa, d’arte, di poesia.


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I PUNTI DI INTERPUNZIONE, come usarli

Non ho mai capito il doppio uso della grammatica che fanno in molti. Da una parte un mostro sacro: lo dice la grammatica! Dall’altra la negazione di principi e suggerimenti.

Vorrei affrontare questo tema, in una paginetta, pur sapendo che ci potrei scrivere un libro, e allora scelgo un solo capitolo per accennare all’argomento, ed è quello della punteggiatura e dei punti d’interpunzione.

Tutto è risolto dalla grammatica stessa, che si esprime in modo molto chiaro: non vi sono regole nella punteggiatura.

L’ultimo capitolo dell’Ulisse di Joyce, quello di Penelope, settanta pagine senza un segno di punteggiatura, fu scritto nel 1922, cent’anni fa. Ciononostante ci sono ancora professoroni, che oggi hanno trovato in internet il terreno a loro più adatto, che disquisiscono su ogni singola virgola.

La cosa però più deprimente è quando costoro, di norma analfabeti in materia, si spendono in messaggi di marketing per richiamare l’attenzione di altrettanti analfabeti, con lo scopo, a volte addirittura dichiarato, di essere i depositari di sacri riferimenti, gli unici a garantire l’editing che trasformerà i suddetti in scrittori di successo.

Un elemento della formazione di questi autentici venditori di fumo è di conquistare innanzitutto la fiducia della vittima. Tanti libri e tanti film ne hanno parlato. Cito La casa dei giochi di David Mamet con Joe Mantegna (1987), che affronta in modo diretto l’importanza di acquisire fiducia da parte della vittima designata.

Il capitolo che più si presta è quello dei segni di interpunzione nei discorsi diretti. I professoroni fanno copia e incolla da una qualsiasi grammatica e mettono in guardia i neofiti aspiranti scrittori che guai, se si usano i caporali, guai a mettere il punto finale all’interno, va fuori! Per chi usa il trattino, guai a…  Ne ho letto uno che diceva: questa informazione ve l’abbiamo data gratis, se ne volete altre sono a pagamento.

La grammatica è una guida, un’indicazione indispensabile, ma non è legge scritta su pietra. Tanto è vero che le regole cambiano secondo l’uso corrente.

Le case editrici, di norma, nei discorsi diretti impongono le proprie scelte, per cui i caporali, le virgolette o i trattini che vi trovate sono per tutti uguali.

Nella nostra piccola casa editrice lasciamo invece libertà all’autore, perché ci sembra giusto rispettare le sue preferenze, al quale magari i caporali non vanno giù e si sente a proprio agio con le virgolette o i trattini. È ovvio che se Mondadori fosse interessato a una mia pubblicazione e mi chiedesse i caporali, io userei i caporali. Ragazzi! Non sono questi i problemi della scrittura. Dopo il punto esclamativo di “Ragazzi !” ci va la virgola? Non sono questi i problemi. La grammatica, ve lo assicuro, non si offende. Anzi, da quella grande madre che è, ama i figli che prendono iniziative e vanno ad abitare da soli.

Vi porto la mia esperienza. Per i discorsi diretti fra virgolette, trattino e caporali io ho scelto il trattino. So bene che la grammatica indica il trattino lungo, per distinguerlo da quello breve che ha significato di unione e non ha relazione con il dialogo, ma a me piace di più quello breve. Alla fine, dovete ammetterlo, non si confondono, così come la grammatica dice di non accentare il do verbo perché nel contesto non può essere scambiato con la nota do.

Sento già il raglio provenire dai social specializzati, che campano sulle inezie.

Alessandra dice che i simboli vanno rispettati. Beh, a questo punto, se riuscirò a capire come si fa sulla tastiera, adotterò il trattino lungo.

continua l’11 maggio

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IL FINALE, una stoccata di classe

C’è poco da dire, dopo tutta l’attenzione che abbiamo messo per arrivarci. Magari il finale l’avevamo in mente fin dall’inizio, magari è maturato nello sviluppo, magari è saltato fuori inaspettato, oppure è rimasto volutamente sospeso. Va tutto bene. Un pericolo che ho notato nei nostri racconti è che a volte il finale ha condizionato tutto lo sviluppo. Vale a dire, siamo partiti con il finale già in mente, una bella stoccata, e non abbiamo visto l’ora di arrivarci, senza cioè curare lo sviluppo. Il giorno in cui avremo in mente un romanzo commetteremo lo stesso errore. E un conto è aver lavorato per un raccontino, che possiamo facilmente riscrivere, un altro se cento pagine sono rimaste vuote in attesa del tocco finale che probabilmente nessuno arriverà a leggere, sopraffatto dalla noia. Al contrario, avere in mente un buon finale deve essere lo stimolo per tenere alta la tensione.

Arriverà il finale, concentrato in due pagine oppure nell’intero ultimo capitolo, e sarà una luce su tutto quanto è stato raccontato prima.

Mi aspetta una bella Guinness, e non mi dilungo oltre. Solo l’esempio di un allievo che mi ha consegnato un racconto di 10.000 battute, con un finale buttato lì, senza una conclusione all’altezza della storia narrata. Il racconto era stimolante e mi sentivo il finale nelle mani. Gli ho detto di riscriverlo lui. È chiaro, vero, che il finale di questo corso lo scrivete voi?

continua il 4 maggio

Abramo Vane, giornalista e scrittore, insegna alla Scuola di Scittura delle Edizioni IL CAVEDIO. Ha pubblicato libri di narrativa, d’arte, di poesia.


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