Una volta pensavo a una storia da scrivere, e avevo già deciso come realizzarla. Il periodo da raccontare era di vent’anni e avevo pensato di partire dal fondo, dall’ultimo mese, e poi riprendere la vita del protagonista con vari flashback.  Mi è venuta fuori una storia lineare che parte dalla sua nascita e si conclude dopo vent’anni. Questo per dire che nel nostro lavoro ritroviamo l’imprevedibilità della vita. E voi vorreste rinunciarvi in cambio di una struttura preconfezionata? Personalmente preferisco le strutture complicate, mi ci trovo a mio agio perché io sono una persona complicata, ma la vita è formidabile, e io la conosco con la mia fatica sulla pagina bianca. Se seguissi le trame dei miei maestri perderei il bello dell’atto creativo. Da giovane lessi l’Ulisse di Joyce, considerato uno dei romanzi più importanti della letteratura moderna, e siccome volevo fare lo scrittore poi comprai un libretto che ne esaminava la trama e la struttura. Dopo poche pagine lo abbandonai. Ne presi un altro, e la stessa cosa. Comprai allora quello del suo maggior critico e conoscitore, e qui per la verità arrivai a pagina 40. Tutto interessante, ma non era quella lettura e quello studio che mi aiutavano davvero. E adesso, avendolo nominato, approfitto di Joyce e del suo Ulisse. Dieci anni per scriverlo. Mille pagine, alla media dunque di cento pagine all’anno. Vi pongo una domanda. Che pensate facesse Joyce in quei dieci anni? Lavorava al suo romanzo, certo. Ma quando andava a teatro alla sera con la sua Nora, oppure quando dava lezioni d’inglese a Italo Svevo, che c’era nel fondo della sua mente? Sempre lui, l’Ulisse che stava scrivendo. La sua vita era in quelle pagine bianche che voleva scrivere e poi in quelle già scritte che doveva riscrivere.

Riprendo una frase detta al primo incontro. La scrittura è una via di conoscenza privilegiata. Un racconto scritto bene mi ha dato soddisfazione. Che cosa mi darà un romanzo? Sono in grado di affrontarlo? Ci provo. Sono qui per questo.

continua il 27 aprile

Abramo Vane, giornalista e scrittore, insegna alla Scuola di Scittura delle Edizioni IL CAVEDIO. Ha pubblicato libri di narrativa, d’arte, di poesia.


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LA TRAMA, dal racconto al romanzo

Abbiamo lavorato sull’esame di una singola pagina per acquisire la capacità e l’arte di riscrivere. Se non riusciamo a controllare una pagina, come possiamo pretendere di scriverne cento? Intendo scriverle bene. Scarabocchiarle siamo capaci tutti, fin dalla prima elementare. Ecco che siamo pronti, o almeno ci vogliamo provare. Qualcuno ha sopportato a fatica il lavoro sulla riscrittura, ma adesso tira fuori il suo romanzo dal cassetto e sa che ci deve metter mano. Mi ostino a dire che chi sa scrivere un “corto” è in grado di scrivere quello che vuole. La differenza, che ho già detto un paio di volte, è che l’impegno è dieci cento volte superiore. Passiamo a uno sviluppo molto più grande, e qualcuno suggerisce forse la parola giusta: trama. E di conseguenza la domanda. Come scrivere una trama? Già la parola incute timore. Sembra un mostro da affrontare. Faccio una scaletta all’inizio, parto dal semplice titolo e mi affido alla mia fantasia, come hanno dichiarato alcuni scrittori, oppure inserisco nella storia portante altre storie che la sostengono come contrafforti in una cattedrale gotica? Mi dispiace deludervi, ma anche in questo caso non ci sono regole, e se ci fossero non le voglio sentire.

Sarebbe troppo facile per il conduttore di un corso di scrittura tirare fuori decine di libri e esaminarne le trame. Sarebbe un bel lavoro, divertente. Molte scuole fanno questo, il tempo passa, anzi è passato in un attimo, me ne vado via contento ma non ho imparato niente che abbia migliorato la mia scrittura, o ben poco. Se il corso si risolve nel vedere quello che hanno scritto gli altri, mi sembra che sia un po’ come vendere fumo. In questo corso preferirei darvi l’arrosto, anzi, per la precisione, quello che voglio fare è di darvi una mano a cucinare. Il profumo dei vari Fante, Carver, Yourcenar, Marquez e di altri mille già lo conosciamo, e comunque non è questa la sede. Voi siete qui per migliorare la vostra scrittura. Esaminare le trame dei loro romanzi, i personaggi, le descrizioni è un esercizio piacevole. Le buone letture sono alla base del nostro lavoro, sono uno stimolo costante. Ne discutiamo volentieri e parliamo di cultura. Da ogni autore impariamo qualcosa, ma non è l’apprendimento concreto di cui abbiamo bisogno. Non è l’arrosto. Gli ingredienti ve li ho detti (osservazione, attenzione, concentrazione), i tempi di cottura pure (riscrittura attraverso umiltà e senso del distacco), spero che abbiate buoni fornitori (fantasia e volontà). Se volete mi metto alle vostre spalle e se in una pagina ci mettete troppo sale vi dico non mettete troppo sale qui, piuttosto usatelo alla fine. Consigli quanti ne volete, ma sul vostro lavoro, non su quello di altri. Dalla scrittura di altri trovate esempi e riferimenti, non la soluzione. Non perdete il fascino della pagina bianca. È vostra, solo vostra, ed è bianca. Dentro non ci sono strutture, trame predefinite. Scrivere è conoscere sé stessi. In questo percorso può succedere di tutto, esattamente come nella vita.

continua il 20 aprile

Abramo Vane, giornalista e scrittore, insegna alla Scuola di Scittura delle Edizioni IL CAVEDIO. Ha pubblicato libri di narrativa, d’arte, di poesia.


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IL CONTESTO STORICO, indispensabile

È incredibile come molti non danno importanza al contesto storico. Nemmeno quando si parla di storia. Figuriamoci quanto è facile non considerarlo nel lavoro di narrazione nel quale fantasia e invenzione sono elementi essenziali.

Angela, alla quale piace abbinare i suoi gialli all’arte, sta molto attenta a non sbagliare.

Mariangela, addirittura, non usa parole che in quel contesto storico non esistevano.

Anna Rosa, che insegna alle superiori, ricorda come il buon Lisander fa parlare Renzo e Lucia con termini e linguaggi che, da contadini, non conoscevano.

continua il 13 aprile

Abramo Vane, giornalista e scrittore, insegna alla Scuola di Scittura delle Edizioni IL CAVEDIO. Ha pubblicato libri di narrativa, d’arte, di poesia.


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INTENSITÀ E SVILUPPO, altrimenti il lettore si addormenta

E così, attraverso i personaggi e le descrizioni, sviluppiamo la nostra storia. Forse volevamo solo scrivere un racconto, e ne è venuto fuori un romanzo. O viceversa. Avevamo in mente duecento pagine e abbiamo risolto con venti. E a questo punto le domande sono molte. È meglio iniziare quando abbiamo in mente tutta la storia, oppure la inventiamo scrivendo? È meglio così o cosà?

Quello che abbiamo appreso nello scrivere racconti brevi da mettere in vetrina è che la nostra pagina vuole essere letta tutta di un fiato. Se questo non succede, torniamo indietro e vediamo dove il ritmo è calato. Scritta bene una pagina, se ne scriviamo cento, tutte debbono avere la stessa intensità. Non siamo qui per allungare la brodaglia, come diceva l’amico grafico.

Qualunque pagina del nostro romanzo il lettore apre, si interromperà solo con un atto di volontà, perché deve andare dal dentista o a portare il regalo alla suocera, ma alla sera la riprenderà con rinnovato spirito.

Nel passo lungo abbiamo accennato allo sviluppo delle descrizioni e dei particolari, dei personaggi, dei paesaggi, degli ambienti. Anche dei dialoghi, curati in un certo modo. Ci siamo abituati a vedere i sassolini che vanno tolti. Intensità e sviluppo nel romanzo sono macigni. Con umiltà e senso di distacco non possiamo non accorgercene. Rimanendo pieni di noi stessi, della nostra poca arte, immagineremo capolavori che nessun altro vede.

continua il 6 aprile

Abramo Vane, giornalista e scrittore, insegna alla Scuola di Scittura delle Edizioni IL CAVEDIO. Ha pubblicato libri di narrativa, d’arte, di poesia.


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I PAESAGGI, ogni uomo ne ha uno dentro di sé

Alcuni non li considerano nemmeno, scrivono storie lunghissime e non si vede un albero, un fiume, una montagna, un fiore o un prato. Per altri sono irrinunciabili. Non potrebbero raccontare una storia senza un’ambientazione precisa. Per altri poi il vero protagonista è il paesaggio. Come al solito, non preoccupatevi, e fate come volete. Non sono questi i problemi della scrittura, e non chiedetemi il solito elenco di vari tipi di descrizioni.

Sul paesaggio, in un mio libro di guerra sulla Campagna di Russia, quando il protagonista lasciava la sua casa per andare in un territorio sconosciuto, un capitolo lo intitolai Ogni uomo ha un paesaggio dentro di sé (*). Ecco, mi sembra una buona idea. Se sentite importante il paesaggio provate a pensare che ogni vostro personaggio ne ha uno dentro. Pensate a quante finestrelle si aprirebbero. I personaggi osservano e meditano su ciò che li circonda. I paesaggi che voi descriverete sono in relazione e in armonia con il protagonista e con la storia.

In qualche consiglio, fin dall’inizio, ho suggerito di leggere di tutto, dalla poesia ai fumetti, perché tutto torna utile. E anche qualsiasi tipo di arte. A proposito di paesaggi vi direi di guardare i film con un occhio particolare, attento. Al cinema dominano, come pure ogni altra ambientazione. Nella complessa arte del cinema troviamo varie professionalità in un lavoro d’equipe, e il paesaggio è affidato alla fotografia. E non siamo noi, nella complessità del nostro lavoro, non siamo noi anche fotografi?

Siccome ho ripreso a parlare di film, mi allargo un po’, e ricordo il capitolo dei dialoghi. Li seguite con attenzione? So già che siete attenti a come è stata scritta la sceneggiatura, ma il linguaggio del cinema, che non è quello della scrittura, riuscite a entrarvi? Non solo per capirlo, ma per trarvi ispirazione.

Ogni arte confluisce nella nostra. E mi allargo ancora. In realtà tutto quello che ci succede attorno, dalle nostre giornate piene di altri impegni, dalle vacanze, dalle altre nostre passioni, culturali, artistiche o sportive che siano, tutto è motivo di osservazione. Se vogliamo migliorare la nostra scrittura, non siamo mai spettatori occasionali. E il paesaggio ci parla ogni giorno. Scandisce il passare del tempo attraverso le stagioni, e il nostro stesso umore di giornata. Provate a scoprire il paesaggio che alberga nel nostro cuore. 

(*) … ed ebbe inizio quel viaggio che dal Brennero, attraverso la Germania, l’Ungheria e la Romania ci portò al fronte, e su quei treni pensavamo già alle pianure della Bessarabia, ai fiumi i cui nomi presto si sarebbero scolpiti nella mente, Bug, Dnjeper, Do­nez, Don, e guardando una carta militare ognuno se li im­maginava in qualche modo, un panorama di pianure e di fiumi più vasto di quanto fossimo abituati, perché il pae­saggio è qualcosa che ognuno ha dentro di sé, è l’indole stessa, il carattere, è la differenza che si vede subito fra un italiano e un russo, e anche quella fra gli uomini, di chi viaggia e di chi resta, del buono e del malvagio, ogni uomo ha un paesaggio dentro di sé, e noi arrivavamo dai fiumi, dai laghi, dalle pianure e dalle colline che erano le nostre, e così guardando quelle carte l’immaginazione si spingeva avanti e costruiva spazi diversi, ma per quanto questa operazione fosse audace quando conoscemmo dav­vero la vastità di quelle pianure, l’imponenza di quei fiumi dove si sarebbero svolte le più accanite e cruente battaglie, ci accorgemmo che la realtà superava la fantasia, e a que­sta considerazione se ne aggiunse un’altra, che cioè il pae­saggio a sua volta appare diverso a seconda degli occhi che lo guardano, delle circostanze, degli stati d’animo, e così si capisce come quel panorama, che non ci apparte­neva, entrò in modo violento dentro di noi modificando il paesaggio che era proprio dell’animo, e non solo, quelle pianure che sconfinavano nel cielo e quei fiumi a cui si le­gherà per noi l’esperienza tragica della guerra cambiarono la nostra visione della vita.

continua il 30 marzo

Abramo Vane, giornalista e scrittore, insegna alla Scuola di Scittura delle Edizioni IL CAVEDIO. Ha pubblicato libri di narrativa, d’arte, di poesia.


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LE DESCRIZIONI, quando ci si prende gusto

So che avete letto libri, alcuni ne hanno letti parecchi, e so che siete rimasti incantati da certe descrizioni. E adesso mi chiedete come posso io? Scrivendo i racconti sui quali abbiamo mosso le prime esperienze di scrittura, e che anzi consiglio come terreno di partenza, non abbiamo trascurato niente, e la cosa più importante che abbiamo fatto è stata quella di mirare al sodo, all’essenziale. Se abbiamo fatto bene questo percorso ci troveremo fra le mani un tesoretto, una piccola lampada magica. Aprendola uscirà un genio che esaudirà i nostri desideri. Dall’essenziale tiriamo fuori tutto, anche il romanzo che sogniamo di scrivere. Lavoreremo dieci cento volte di più, ma la fatica diventa un piacere, e non la sentiamo nemmeno. A chi è veramente interessato alla scrittura chiedo un impegno fin dall’inizio, per essere poi travolti dalla passione. Quello che può servire in un corso di scrittura è l’esperienza che si riesce a trasmettere, ed è soprattutto l’energia che riusciamo a muovere, insieme.

Veniamo alle descrizioni. Ho scritto un raccontino di trenta righe nel quale la protagonista è una ragazza dai capelli verdi. Ho inventato questo personaggio perché mi serviva per sostenere una certa mia idea. Adesso ne voglio fare un racconto lungo, sviluppare la storia e approfondire l’idea. La ragazza l’avevo descritta con i capelli verdi, un piercing al labbro, una ferita all’addome, e così in qualche modo l’avevo caratterizzata. Adesso la vorrei descrivere meglio. È una ragazza minuta, è cicciotta, o è alta e snella? Preferisco alta, come un’indossatrice. Perché si è conciata in questo modo, invece di fare l’indossatrice? Un tempo questo era il suo lavoro, e la mia scelta apre una finestrella dietro la quale scrivere almeno venti pagine, su tutte quelle sfilate. Ha un corpo esile, è magra, però è una ragazza forte, e in qualche modo devo descrivere la sua forza, che non è fisica, ma di carattere. Ha sofferto, viene da un paese dove c’è stata la guerra, ecco altre finestrelle che si aprono. E le sue mani? Non sono le mani di una ragazza, ma di una donna che ha fatto lavori duri, forse ha imbracciato un fucile. Capite, a ogni considerazione si apre una finestrella. Come continuo? Descrivo gli occhi, lo sguardo triste perso nel vuoto. E si apre un portone. Notate tutte quelle pagine che si presentano e s’intrecciano fra di loro? Dove l’ho vista la prima volta, la ragazza dai capelli verdi? Alla stazione, con alcuni amici. Chi sono, da dove vengono, come sono vestiti? E i loro sguardi? I modi di fare. Come si esprimono? E perché ritrovarsi in una stazione? Quell’ambiente così cupo (descrizione), ma anche quei ragazzi sono cupi (parallelismo). I treni passano e se ne vanno, e uno porterà via la ragazza dai capelli verdi. Vi siete annoiati? Immagino di sì. A me è invece venuta la voglia di scrivere un romanzo. Ho già il titolo.

Attenzione. Le descrizioni non servono per passare dal racconto lungo al romanzo. Forse all’inizio le abbiamo pensate con questo scopo, ma presto ci siamo accorti che sono parte della struttura, la parte migliore dell’opera. Ora davvero la nostra storia è completa, e solida. E un’altra particolarità. Abbiamo sollecitato la fantasia, maturato lo stile, scavato dentro di noi.

Poi so che volete il mio intervento. Dopo aver ripetuto un sacco di volte le stesse cose mi chiedete ancora la tecnica, quando vi ho detto in modo chiaro che sarà il metodo, il vostro metodo personale, a risolvere ogni problema e a portarvi a un risultato concreto, di buon livello. Se intervengo in un certo modo sui vostri racconti quasi tutti siete contenti, se supero un pochino il confine, se entro cioè con qualche mio esempio di sviluppo sulle vostre idee, incominciate a dividervi in due. Chi ne è contento, così si trova la pappa pronta, e chi ha fastidio per l’intrusione. Siamo chiari! Quello che voglio è solo portare la mia esperienza. Punto. Di più nemmeno posso. Fatemi avere la vostra ragazza dai capelli rossi.Così non parliamo a vuoto e lavoriamo sul concreto. Questo è un corso pratico. Ed è chiaro che se volete scrivere un romanzo, lo scriverete voi.

continua il 23 marzo

Abramo Vane, giornalista e scrittore, insegna alla Scuola di Scittura delle Edizioni IL CAVEDIO. Ha pubblicato libri di narrativa, d’arte, di poesia.


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I PARTICOLARI, piccoli ma fanno la differenza

Se avete seguito bene, soprattutto gli interventi che nella pratica ogni volta facciamo sui racconti, avrete capito che costruiamo la nostra cattedrale mattone su mattone. I particolari sono alla base del metodo. Abbiamo visto quanto siano fondamentali per la costruzione di uno stile e di una bella scrittura. Avverbi, gerundi, verbi fraseologici, e poi tutta una serie di attenzioni. Abbiamo visto l’importanza di una virgola, di una sola parola usata piuttosto di un’altra. Siamo migliorati grazie a un lavoro su piccole cose, e non con discorsi sui massimi sistemi o su obblighi e divieti che arrivano dall’alto.

Adesso volevo parlarvi di altri particolari. Abbiamo lavorato prevalentemente sul racconto breve per i motivi che sappiamo, a me è sempre piaciuto ripetere lo slogan Chi sa scrivere il corto può scrivere qualsiasi pagina, anche le mille di un romanzo. Ci credo proprio, poi ho trovato l’imbarazzo di molti nel passare dal corto al racconto lungo o al romanzo.

Ho analizzato la situazione e ho capito che ancora tutto dipende dalle piccole cose. Abbiamo cioè imparato a fabbricare i mattoni, con gli ingredienti giusti, a metterli insieme per costruire la nostra casetta al mare, adesso costruiamo i grattacieli, se ne abbiamo voglia e capacità.

Non c’è niente di scontato, tranne che dovremo impegnarci dieci, cento volte di più. Partendo da dove? Dai particolari. Arricchiremo i nostri personaggi, ne inventeremo a ogni occorrenza, svilupperemo le descrizioni. Per conoscere noi stessi scaveremo nella psicologia, nell’animo, nel bello e nel torbido, e quando in una paginetta vedremo laggiù in fondo una finestrella la apriremo, sapendo bene che al di là troveremo un altro paesaggio.

Questo è lo scopo dello scrivere, aprire nuove visioni. Volete pubblicare libri e diventare famosi? Bravi. Se possibile, i miei collaboratori e io vi daremo una mano, ma questo corso, mi piacerebbe che lo capiste, vale di più. Vi ricordate del fine e del mezzo? Quando coincidono raggiungiamo idealità e risultati insieme. É importante a mio avviso una simile visione, tanto che ve la ripropongo più avanti. Dopo qualche lezione ci siamo accorti di scavare in noi come non avevamo mai fatto prima. Diceva quel filosofo, e con lui, prima e dopo di lui, tutta l’umanità che aveva idee chiare sulla strada da seguire per capirci dentro qualcosa in questa meravigliosa complessità che è la vita, diceva dunque quel filosofo: conosci te stesso. Il romanzo che scriveremo, ne sarà una conseguenza. Semplice e inevitabile. I lettori, se ne avremo, non so se capiranno il nostro impegno alla ricerca dei particolari.

continua il 16 marzo

Abramo Vane, giornalista e scrittore, insegna alla Scuola di Scittura delle Edizioni IL CAVEDIO. Ha pubblicato libri di narrativa, d’arte, di poesia.


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La ricerca dell’equilibrio

Cerchiamo equilibrio e armonia, il modo migliore per raccontare la nostra storia, ciò che è a noi più consono, più appropriato alla vicenda che vogliamo raccontare, più vicino alla nostra idea di scrittura.

Un consiglio. In un discorso diretto, specie se è lungo, cioè se il personaggio si sta esprimendo in modo prolisso, interrompetelo con qualche osservazione esterna, su di lui, su chi lo sta ascoltando, sull’ambiente. Un esempio:

“Sapete che vi dico?”, fece Giovanni, e prese il libro di consigli per una buona scrittura che stava sul tavolo.

“Mi avete rotto le scatole con tutte queste manfrine. Com’è possibile sostenere baggianate del genere?” e a un certo punto i suoi occhi si fecero di fuoco, e con forza ruppe il libro in due, e continuò: “Che volete da me, che io vi dica grazie?”.

In quell’istante si udì un tuono che fece tremare la casa, un quadro si staccò dalla parete, cadde a terra e il vetro andò in frantumi, ma Giovanni non ci fece caso.

“Sì, signori miei, me ne faccio un baffo di questi consigli del cavolo”.

Quello che vi dico io, e non Giovanni, che queste davvero sono manfrine. Ascoltate me, chi volete, leggete e confrontate, ma la soluzione sarete voi a trovarla. E non può essere altrimenti, ve lo garantisco.

Un suggerimento? Certo, quello di seguire attentamente i dialoghi nei film. Ce ne sono di meravigliosi. Selezionate, ascoltateli più volte. Scartate subito quelli che contengono volgarità e parolacce. Non perché siano un divieto per voi, se la vostra storia richiede volgarità e parolacce le userete, ci mancherebbe, ma è sempre meglio partire dall’alto e trasformare il linguaggio di tutti i giorni in qualcosa di originale.

Mi prendo una pausa, per dire ciò che di sicuro ho già detto, e magari più volte. Non ditemi che a volte sono pedante, perché credo di esserlo sempre (tranne quando, spero, scrivo le mie pagine). Leggo poesie, saggistica, narrativa, leggo i giornali, le riviste, eccetera, e tutto è finalizzato alla pagina che presto scriverò. Vado in giro, vivo la vita di tutti, ma in modo differente perché io sono un osservatore. Cerco stimoli, con una particolare attenzione, e concentrazione, su quella che è ancora una pagina bianca e che attende solo di ricevere tutto me stesso. Un quadro, una scultura, un edificio sono un impulso alla mia fantasia. Tutta l’arte lo è.

E il cinema, per quanto riguarda i dialoghi, ancora di più. Un film nasce dalla scrittura del soggetto e poi da quella della sceneggiatura. In un film seguo la trama, lo sviluppo della storia, i personaggi, ma sono affascinato dai dialoghi, quando sono scritti bene. Mi servono per la mia pagina che attende. Se in un romanzo i dialoghi potrebbero essere una scelta, nel senso che è possibile scrivere duecento pagine senza un discorso diretto, nel film spesso occupano gran parte della sceneggiatura. Per assurdo ci sono film che potremmo “vedere” alla radio, come quelli di Woodie Allen.

continua il 9 marzo

Abramo Vane, giornalista e scrittore, insegna alla Scuola di Scittura delle Edizioni IL CAVEDIO. Ha pubblicato libri di narrativa, d’arte, di poesia.


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Non sono quelli del bar

Ho visto libri potenzialmente belli cadere in malo modo sui dialoghi, rovinarsi con un niente. Fin tanto che l’autore era sui personaggi e sugli ambienti tutta una meraviglia. Poi i dialoghi, ahimè! La scrittura non è il parlato. Parliamo in un modo e scriviamo in un altro. Questo vale per tutti, anche per quegli autori che nella loro ricerca di stile, nel loro modo di esprimersi, tendono a unificare il parlato e lo scritto.

Figuriamoci per gli altri. Di nuovo vi invito a rileggere i vostri autori preferiti, giusto per fare un confronto.

Troverete chi usa dialoghi forbiti, e chi teatrali. Qualcuno i botta e risposta da bar, sì, ho detto da bar, solo che lo fa con una maestria tale che s’inseriscono nel contesto generale del racconto e soprattutto aderiscono al personaggio, esaltandolo.

Da dove arriva questa maestria?  Come in tutte le pagine di questo libro non troverete l’elenco delle soluzioni. Per un semplice motivo: perché non esistono. C’è una sola soluzione, ed è la vostra. La vostra sperimentazione. Resta il consiglio di avere molta cura dei dialoghi.

Chissà perché vengono sottovalutati. Sembra che servano per riempire più facilmente le pagine. Se li usate bene, dopo qualche pagina, il lettore capirà quale personaggio sta parlando perché quelle espressioni sono una sua caratteristica.

Vi dico una cosa. Non è facile scriverli bene, se il nostro scopo è davvero quello di scrivere bene e non solo di riempire le pagine. E poi non sono indispensabili, anzi, tutt’altro. Fior di capolavori non li contemplano, o li usano pochissimo. Altri, a onor del vero, hanno storie che si basano sui dialoghi. Preferisco i primi, le pagine dense di azioni e di descrizioni, con un uso molto moderato dei discorsi diretti, se non completamente assente. Ognuno ha i suoi gusti. Ognuno ha un carattere, una personalità, che si esprimono in modo diverso.


continua il 2 marzo

Abramo Vane, giornalista e scrittore, insegna alla Scuola di Scittura delle Edizioni IL CAVEDIO. Ha pubblicato libri di narrativa, d’arte, di poesia.

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I PERSONAGGI, parliamone ancora

E il personaggio folla? Volete perdere tempo sull’assalto al forno dei Promessi sposi o sulla folla descritta in Furia di Fritz Lang con la sceneggiatura di Norman Krasna?

E quando il personaggio è il paesaggio? Tutti gli altri si muovono dentro di lui, vivono e muoiono, il filo conduttore del nostro racconto, o almeno uno dei pilasti portanti, è proprio il rapporto fra uomo e natura. Quel deserto di sete che prima di uccidere il corpo strazia l’anima, genera flash back, ricordi, miraggi, oppure quegli alberi secolari che ondeggiano nella foresta, o quell’alberello che è in giardino e che il protagonista vede spoglio in inverno e poi rifiorente in primavera, o il cielo, le nuvole, le stelle, la luna, non è al fine il paesaggio un personaggio lui stesso, a volte il vero protagonista, sottile o manifesto che sia? 

E l’alter ego, eh, che dire del personaggio che è il nostro alter ego?

Mi è capitato recentemente, nel gruppo di lettura, di trattare Viaggio al termine della notte di Celine. Qualcuno ha riportato l’idea di alcuni critici sul personaggio di Robinson, alter ego del nostro Ferdinando. È vero, condivido. Però vorrei citare un aspetto più sottile, nel rapporto autore-personaggio, che ho già detto prima, e che ripeto volentieri.

In qualsiasi personaggio c’è l’autore. Vi faccio un esempio, che mi sembra semplice e chiaro. Nel mio racconto serve un personaggio che sia negativo. Chi meglio se non il mio vicino di casa? Lo conosco bene e mi basta descriverlo. È così facile. Come si veste, le parole che dice, i modi di fare. La sua visione del mondo, la mente bacata, l’animo viscido, la viltà più volte mostrata, la pochezza delle idee. Sarà un gioco da ragazzi descriverlo freddamente. Eppure. Il personaggio che ne uscirà inevitabilmente passerà dal mio filtro, e lì dentro ci sono anch’io, io che per fortuna non ho niente in comune con il mio vicino. Forse qualche cosina sì, nessuno è perfetto.

Della vita, e quindi dei personaggi che contribuiranno a sostenerne la mia visione, ho questa idea, che non esiste dualismo. Non sono manicheo, come già ho confessato, ma se voi lo siete non ci sono problemi e sosterrete la vostra idea. Buoni da una parte e cattivi dall’altra. E così se a me serve un personaggio del genere, lo creo in tale modo.  Lo zio Stefano: poche idee ma precise, non ci sono margini o dubbi in lui. A me interessa il personaggio e la storia. Attraverso di lui e la sua vicenda cresco nel mio percorso di scrittore, e di uomo che vuole capire come stanno le cose.

In conclusione vi dico: lo sapete tutti che cosa sono i personaggi. L’avaro, la puttana, il brigadiere, lo scrittore, il marito cornuto, il cane e il gatto. Scriviamo, e sui personaggi che facciamo? Ci lavoriamo come Michelangelo con suo David e nel marmo scolpiamo l’opera.


continua il 24 febbraio

Abramo Vane, giornalista e scrittore, insegna alla Scuola di Scittura delle Edizioni IL CAVEDIO. Ha pubblicato libri di narrativa, d’arte, di poesia.

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