I PERSONAGGI, parliamone ancora

E il personaggio folla? Volete perdere tempo sull’assalto al forno dei Promessi sposi o sulla folla descritta in Furia di Fritz Lang con la sceneggiatura di Norman Krasna?

E quando il personaggio è il paesaggio? Tutti gli altri si muovono dentro di lui, vivono e muoiono, il filo conduttore del nostro racconto, o almeno uno dei pilasti portanti, è proprio il rapporto fra uomo e natura. Quel deserto di sete che prima di uccidere il corpo strazia l’anima, genera flash back, ricordi, miraggi, oppure quegli alberi secolari che ondeggiano nella foresta, o quell’alberello che è in giardino e che il protagonista vede spoglio in inverno e poi rifiorente in primavera, o il cielo, le nuvole, le stelle, la luna, non è al fine il paesaggio un personaggio lui stesso, a volte il vero protagonista, sottile o manifesto che sia? 

E l’alter ego, eh, che dire del personaggio che è il nostro alter ego?

Mi è capitato recentemente, nel gruppo di lettura, di trattare Viaggio al termine della notte di Celine. Qualcuno ha riportato l’idea di alcuni critici sul personaggio di Robinson, alter ego del nostro Ferdinando. È vero, condivido. Però vorrei citare un aspetto più sottile, nel rapporto autore-personaggio, che ho già detto prima, e che ripeto volentieri.

In qualsiasi personaggio c’è l’autore. Vi faccio un esempio, che mi sembra semplice e chiaro. Nel mio racconto serve un personaggio che sia negativo. Chi meglio se non il mio vicino di casa? Lo conosco bene e mi basta descriverlo. È così facile. Come si veste, le parole che dice, i modi di fare. La sua visione del mondo, la mente bacata, l’animo viscido, la viltà più volte mostrata, la pochezza delle idee. Sarà un gioco da ragazzi descriverlo freddamente. Eppure. Il personaggio che ne uscirà inevitabilmente passerà dal mio filtro, e lì dentro ci sono anch’io, io che per fortuna non ho niente in comune con il mio vicino. Forse qualche cosina sì, nessuno è perfetto.

Della vita, e quindi dei personaggi che contribuiranno a sostenerne la mia visione, ho questa idea, che non esiste dualismo. Non sono manicheo, come già ho confessato, ma se voi lo siete non ci sono problemi e sosterrete la vostra idea. Buoni da una parte e cattivi dall’altra. E così se a me serve un personaggio del genere, lo creo in tale modo.  Lo zio Stefano: poche idee ma precise, non ci sono margini o dubbi in lui. A me interessa il personaggio e la storia. Attraverso di lui e la sua vicenda cresco nel mio percorso di scrittore, e di uomo che vuole capire come stanno le cose.

In conclusione vi dico: lo sapete tutti che cosa sono i personaggi. L’avaro, la puttana, il brigadiere, lo scrittore, il marito cornuto, il cane e il gatto. Scriviamo, e sui personaggi che facciamo? Ci lavoriamo come Michelangelo con suo David e nel marmo scolpiamo l’opera.


continua il 24 febbraio

Abramo Vane, giornalista e scrittore, insegna alla Scuola di Scittura delle Edizioni IL CAVEDIO. Ha pubblicato libri di narrativa, d’arte, di poesia.

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I PERSONAGGI, il divertimento continua

Com’è possibile scrivere un racconto senza personaggi, anche se, come spesso capita nel nostro caso, si tratta di racconti di sole duemila battute? I personaggi nella narrativa sono come l’acqua nel mare. Se ne vogliamo parlare, la cosa si fa lunga, perché il mare è vasto.

Riprendiamo la differenza fra la prima o la terza persona e facciamo un sacco di letture, di confronti, ma quello che dico sempre è che siamo qui per scrivere, e quindi scriviamo. Do per scontato l’importanza dei personaggi, e quando li descriviamo, nel loro aspetto fisico, di come sono vestiti, o nudi, nel loro carattere e modi di essere… a chi ci siamo ispirati, magari mettendo insieme le caratteristiche di due o più persone che conosciamo… non è forse un divertimento tutto questo? È il bello della nostra arte, la capacità che abbiamo acquisito, come uno scultore aggiungiamo e togliamo creta da quella figura che non è ancora diventata ciò che abbiamo in mente.

Per chi ama raccontare in prima persona, l’io narrante è davvero uno spettacolo sul quale e con il quale giocare. E la terza persona, il protagonista della storia? Il lettore ci chiede sempre ma sei tu quel personaggio, la storia è autobiografica? Quando descrivo quel personaggio generoso e spendaccione, mentre sanno tutti che io sono un tirchio della miseria, non sono sempre io? Dobbiamo scomodare per forza il buon Flaubert per sapere che Madame Bovary c’est moi? Qualcuno vuole rimarcare che la nostra scrittura è creativa? Senza la creazione di personaggi non c’è narrazione. Quando ci servono li inventiamo. Abbiamo già un’idea ben definita della nostra opera, c’è il personaggio principale, e poi gli altri, più o meno importanti, e quelli detti minori. Ci capita però di trovarci in una situazione di stallo, l’azione non va avanti, s’è bloccata. È in realtà la nostra fantasia che ha perso vitalità, e con essa la storia. Andava tutto così bene, e adesso? Inventiamo uno o più personaggi, ci salveranno da quella pagina arida che non ci aspettavamo di incontrare. E chissà che quel personaggio soccorrevole non acquisterà una sua autonomia e comparirà in altre pagine.

E possiamo anche averne uno solo, di personaggio, come quello che si è trovato solo al mondo e gira disperato dalla prima all’ultima pagina.


Continua il 17 febbraio

Abramo Vane, giornalista e scrittore, insegna alla Scuola di Scittura delle Edizioni IL CAVEDIO. Ha pubblicato libri di narrativa, d’arte, di poesia.

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I PERSONAGGI, crearli è un divertimento

Per quanto incredibile sia, c’è gente che scrive un racconto senza metterci un personaggio, o quasi, a stento lo accenna, impalpabile figura di contorno. Potrei fare tanti esempi, e ne riporto uno che conosco bene: il mio.

Volevo scrivere un racconto per dimostrare che ogni giorno è diverso dall’altro. Dopo una decina di versioni ero a metà e mi contorcevo ancora su me stesso. Correvo dietro al concetto che volevo esprimere, e ci giravo attorno. Non stavo in sostanza scrivendo un racconto.

La pessima pagina che avevo finora partorito forse era un saggio, ma nemmeno, perché io ero partito per scrivere un racconto, e non un saggio. Volevo sostenere la mia idea grazie a una narrazione leggera, ma pungente. Dopo tanto penare, ho capito che dovevo metterci un personaggio, e mi è venuta in mente la ragazza dai capelli verdi (*) che avevo visto il giorno prima alla stazione. In verità non aveva i capelli verdi. Le ho messo un piercing al labbro, i capelli appunto verdi, i jeans stracci, così si contrapponeva all’io narrante che passava le sue giornate monotone in ufficio nell’attesa delle ferie, o dell’uscita del lavoro alla sera per cercare di vivere una vita ormai compromessa dall’abulia e dal troppo tempo sprecato.

Nella seconda parte ho avuto l’idea di mettere una ferita segreta sull’addome della ragazza, perché lei veniva da una guerra di un paese vicino, e così ho aumentato il divario fra i due, tanto che quel cretino dell’io narrante alla fine capisce che i giorni non sono tutti uguali, ma piuttosto tutti da vivere.

E di casi come il mio ne ho trovati tanti nei piacevoli mercoledì sera prima, divenuti poi sabati pomeriggio, trascorsi a leggere i racconti dei corsisti. Di chi partiva per sostenere un’idea e alla fine non aveva scritto un racconto, ma solo una serie di considerazioni. Insieme ci siamo divertiti a costruire personaggi veri, in carne e ossa, che mostravano con la loro presenza nella storia quell’enunciato che spesso era scritto nelle prime due righe.


Continua il 10 febbraio

Abramo Vane, giornalista e scrittore, insegna alla Scuola di Scittura delle Edizioni IL CAVEDIO. Ha pubblicato libri di narrativa, d’arte, di poesia.

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L’INCIPIT, chi bene inizia

Nella vetrina della prima sede del Cavedio invia Cavallotti, nel centro storico di Varese, dal 2000 e per diversi anni, esponemmo racconti brevi, anzi brevissimi. Massimo 2600 battute spazi compresi. L’ipotetico lettore al quale ci rivolgevamo era un passante al quale potevamo chiedere solo pochi minuti di attenzione. Fondamentale l’incipit. Se le prime due righe non erano più che accattivanti perdevamo un cliente, che per sua natura non ha tempo da perdere.

Una situazione stimolante. Da noi pretendeva il meglio.

Mi ricordo un amico giornalista che aveva la fissa dell’attacco, e ricordo il suo cestino pieno di fogli accartocciati (a quei tempi si scriveva con la macchina per scrivere), ma ricordo anche i suoi articoli, che iniziavano sempre in modo originale.

Se questo è l’impegno di ogni bravo giornalista, per uno scrittore un buon inizio è ancora più importante. Per un racconto, dove l’attacco è risolto in poco spazio, ma anche per un romanzo. Il fatto che poi ci saranno centinaia di pagine da leggere non giustifica uno scarso impegno nella prima.

Quando sento qualche lettore che parla di libri che incominciano a essere interessanti dopo venti pagine sto male, e mi chiedo come abbia l’autore potuto pubblicare, se non come raccomandato. Non capisco neppure il lettore che si sente in obbligo di continuare a leggere. Forse lo fa per giustificare il costo del libro.

Penso che il tempo in questa vita a mia disposizione non sia tanto, di sicuro non mi va di sprecarlo, e così cambio lettura. L’incipit, di racconto o di romanzo che sia, è il suo biglietto da visita. Suggerimenti? Vi direi di riprendere in mano i libri che avete letto e di rileggere la prima pagina.

Ci sono autori che da subito ammaliano e fanno intendere che cosa ci attende. Un canto di sirena che ci chiama, per vivere un’avventura.

Personalmente non amo gli incipit con il discorso diretto, anche se vi sarebbero ottimi esempi pure in questo senso. In genere li trovo deboli, mi sembra che l’autore abbia fretta di far parlare i suoi personaggi. Mi è capitato a volte, in questi casi, di dare il suggerimento di attaccare con una breve descrizione sul personaggio o sull’ambiente, e poi, subito dopo, introdurre il discorso diretto. Quasi sempre il risultato è stato buono. Mettiamo a confronto il primo incipit con la seconda versione, nella quale abbiamo fatto precedere le parole di un personaggio da una breve descrizione, e poi decidiamo quale sia più efficace.


Continua il 3 febbraio

Abramo Vane, giornalista e scrittore, insegna alla Scuola di Scittura delle Edizioni IL CAVEDIO. Ha pubblicato libri di narrativa, d’arte, di poesia.

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LA LIMA, un arnese utile e non il solo

L’esempio che faccio sempre è quello di James Joyce, che scrisse mille pagine del suo Dedalus e ne pubblicò trecento. Fu un sostenitore del lavoro di lima, quello che all’inizio della nostra formazione ci costa così caro. Parole, frasi, periodi, idee, scene, personaggi, capitoli interi, tutto viene travolto, per essere essenziali e incisivi. Umiltà e senso del distacco.

Tutto procede insieme. Guardiamo allo stile e alla struttura e ci accorgiamo che mancano paletti solidi. Andiamo allora a costruirli, attraverso i personaggi, l’approfondimento di quelli che già esistono e, se è il caso, con nuovi che introduciamo proprio per sostenere la struttura.


Continua il 27 gennaio

Abramo Vane, giornalista e scrittore, insegna alla Scuola di Scittura delle Edizioni IL CAVEDIO. Ha pubblicato libri di narrativa, d’arte, di poesia.

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L’IDEA, che affascina e trascina

Da dove nasce un romanzo? Da un’idea, stimolante e desiderosa di comunicare. Uno scrittore mi disse che lui pensava un titolo, e da lì partiva a scrivere. Sembra strano, ma è una prospettiva fattibile. Come lo sono tutte le altre.

Qualcuno ha già in mente la trama dall’inizio e addirittura i vari passaggi, qualcun altro solo una vaga idea che poi svilupperà procedendo di capitolo in capitolo. È questione di carattere, di predisposizione, di forma mentale, di educazione. Di destino, se come me pensate che nello sviluppo di una scrittura fra le righe possiamo intravedere qualcosa che è aldilà delle parole.

Da ribadire c’è solo che lo scrivere è un atto personale, personalissimo. Avremo riferimenti, magari dei maestri, ispiratori e guide, come Giotto ebbe Cimabue, ma sulla pagina bianca ci siamo noi, con tutto il nostro modo di essere e il nostro divenire, pagina dopo pagina. Non per copiare, chissà: per superare riferimenti e maestri.

Viva la libertà, è il caso di dire. Sarà una delle conquiste a cui mireremo, tanto vale considerarla fin dall’inizio.


Continua il 20 gennaio

Abramo Vane, giornalista e scrittore, insegna alla Scuola di Scittura delle Edizioni IL CAVEDIO. Ha pubblicato libri di narrativa, d’arte, di poesia.

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LA POTATURA, un simpatico esempio

Dopo aver scritto un libretto e aver ricordato l’elemento principale della buona scrittura, mi permettete di insistere? Senza la comprensione della riscrittura non arriveremo a uno stile soddisfacente.

Nell’incontro in aula di ieri pomeriggio è germogliato un paragone che è piaciuto a tutti, quello della potatura degli alberi da frutto. Il classico taglio di ritorno, che consiste nel tornare su una gemma a metà ramo e lì intervenire con le cesoie. Facile a dirsi, ma il rametto da eliminare è portatore di gemme che diventeranno frutti, e così ci tratteniamo, abbiamo paura di tagliare troppo, ci dispiace rinunciare a quei frutti. Un po’ alla volta, vedendo a primavera i risultati, acquisiamo sicurezza. Nel punto che abbiamo potato, da un ramo ne sono usciti due, con nuove gemme che porteranno nuovi frutti. 


Continua il 13 gennaio

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PAROLE GUIDA, trovate le vostre

Ispirazione, concentrazione, e poi metodo e meccanismi psicologici e di scrittura.  E intuizione, che è alla base forse di qualsiasi forma di vita. L’intuizione artistica è inoltre qualcosa di diverso, si muove nella fantasia, e fantasia, a parer mio, è un’altra parola guida.

E poi armonia e unità sono straordinarie. L’armonia della pagina, dei concetti, delle situazioni, delle descrizioni sorregge l’idea di unità. Ma, attenzione, ho detto a parer mio, perché ognuno troverà e si affezionerà a delle espressioni sue proprie che diventeranno davvero una guida originale. Io ho fatto un esempio personale, e tale resta. Il vero suggerimento è di valutare bene il peso delle parole che maturerete e che sentirete come guida. Ma come?

Pensate alla connessione che esse hanno con la vostra vita. Ciò che guida la scrittura guida anche la vita.

Abramo Vane, giornalista e scrittore, insegna alla Scuola di Scittura delle Edizioni IL CAVEDIO. Ha pubblicato libri di narrativa, d’arte, di poesia.


continua il 30 dicembre

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IL CONTROLLO, per dare vita alla fantasia

Scriviamo una paginetta, oppure un romanzo di mille pagine, ma le parole non ci debbono sfuggire, non possiamo buttarle sulla pagina bianca senza criterio. La pagina bianca è sacra. È la partenza, e l’arrivo. Il rispetto, di ciò che è superiore a noi, e la comprensione delle parole, che è la guida e lo scopo dello scrivere, debbono essere un costante riferimento nella nostra mente. Scriviamo quello che vogliamo, ma tutto deve essere sotto controllo. L’amore muove i nostri passi, è l’impulso vitale, è una luce che ci guida, ma se non controlliamo tutto questo rimarremo nella banalità, nelle belle idee inespresse, o espresse fino a un certo punto. È questa la differenza, la sensibilità e la maturazione che ci portano su percorsi inesplorati.

Verso l’Infinito. E ciò che appare contraddizione, vita e morte, limiti e infinito, si manifesta per quello che è: un’unica realtà. Se non c’è controllo, la conoscenza sfuma, perde luce, l’amore non riconosce la propria natura, nega sé stesso. La nostra paginetta, o romanzo di mille pagine che sia, non ha la struttura adatta, né lo stile più propizio. Non incidiamo sull’animo del nostro lettore ideale, siamo acqua su marmo. E il nostro scrivere serve solo a coltivare illusione.

Abramo Vane, giornalista e scrittore, insegna alla Scuola di Scittura delle Edizioni IL CAVEDIO. Ha pubblicato libri di narrativa, d’arte, di poesia.


Continua il 23 dicembre

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IL METODO, è un suggerimento

Ricerca di stile, struttura e contenuto si intrecciano e procedono insieme.

Non ci sono capitoli a sé stanti. Oggi vediamo lo stile, domani la struttura, e poi la grammatica e così via. Studiamo il tale scrittore, e poi i generi e il trasformarsi della lingua. No. Tutto procede di pari passo. Si parte dalla pagina bianca e si sperimenta. Non ci sono prima la teoria e lo studio e poi la pratica e la scrittura. Cerchiamo il nostro stile, la struttura più idonea, la creazione dei personaggi, la descrizione degli ambienti eccetera, ci informiamo e ci aggiorniamo, studiamo e osserviamo, e allo stesso tempo coltiviamo l’umiltà, e il senso del distacco, e tutte quelle qualità che scopriremo in noi.

Oltre a tutto questo c’è sempre la comprensione e la pratica della riscrittura, senza la quale nessun metodo personale sta in piedi.

Abramo Vane, giornalista e scrittore, insegna alla Scuola di Scittura delle Edizioni IL CAVEDIO. Ha pubblicato libri di narrativa, d’arte, di poesia.


Continua il 16 dicembre

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