SCRITTO COL SANGUE *

Quando terminiamo il nostro racconto o il nostro romanzo giallo ci accorgiamo che non abbiamo finito. Siamo arrivati all’ultima pagina, procedendo con il vento favorevole in alcune fasi, più lenti con “lacrime e sangue” in altre e, vale per tutti, con terrificanti battute d’arresto in alcuni momenti. Abbiamo già, diligentemente, in corso d’opera, riletto, corretto e cambiato il testo, siamo ritornati indietro, abbiamo aggiunto o tolto frasi, modificato nomi. Ma c’è ancora del lavoro da fare perché basta un particolare fuori posto per far perdere credibilità a tutto l’impianto narrativo. Rileggiamo dunque più volte, magari a voce alta, magari come se fossimo lettori che non hanno mai visto il libro.

Con due finalità principali. Prima: cogliere l’impressione d’insieme e il ritmo della narrazione. Sentiremo allora quando qualcosa non va, come un meccanico che avverte un rumore strano in un motore.

Seconda: identificare gli errori o, come li chiama Patricia Highsmith, gli “intoppi”: una frase ripetitiva, piatta o confusa, una via in cui ci si è infilati senza uscita, un particolare tecnico che si è dimenticato di verificare (esistevano nel 1600 i crisantemi? Il sonnifero che ho usato può davvero durare più di 24 ore? Ho fatto viaggiare troppo veloce il treno che ha preso l’assassino?). Non mancheranno anche gli errori materiali da correggere: abbiamo chiamato il personaggio con un nome diverso, scritto un termine straniero in modo errato, citato un falso dettaglio di un luogo. E dobbiamo rivedere la punteggiatura, una specie di incubo…

Il consiglio è di non demandare troppe correzioni a un eventuale editing, ma consegnare al mondo un prodotto che ci soddisfi, senza avere fretta. Un altro suggerimento è di non avere paura di limare il nostro “manufatto” e neppure di tagliare senza pietà, se sentiamo che, più snello, funziona meglio. I lettori ce ne saranno grati. Come dice William Faulkner: Leggete! Assorbirete. Poi scrivete. Se è buono lo vedrete. Se non lo è, gettate tutto dalla finestra.

Leggete! E quindi termino con i miei piccoli consigli di autori da non perdere. Ne cito alcuni dei molti che vorrei nominare: P.D. James per la ricchezza delle trame e l’atmosfera, Fred Vargas per la genialità e stravaganza dei personaggi, Ben Pastor per la ricostruzione storica e per aver pensato Martin von Bora, Alessandro Robecchi per lo stile di scrittura immediato, J. Simenon per lo sguardo sulle anime e ancora per l’atmosfera. E poi la “regina” Agatha Christie, Camilleri, Arturo Perez Reverte, Davide Longo, E. George, Carrisi, Malvaldi. Da tutti possiamo imparare, anche da quelli che non ci sono piaciuti.

* Thomas Cook 1991

Angela Borghi, medico, ha lavorato in ospedale e ora si dedica alle sue passioni, soprattutto scrivere. Ha partecipato ad antologie di racconti e pubblicato quattro romanzi gialli: Delitto al Sacro monte, I misteri del convento di Casbeno, Che domenica bestiale e La ragazza con il vestito azzurro.


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CARTE IN TAVOLA *

Suona strano ma il momento più importante di un mistero è quando si dissolve. Gli eventi che parevano inspiegabili giungono alla necessaria spiegazione. All’oscurità segue la luce e l’intelligenza vince sulla confusione del mondo.  La scoperta del colpevole e la sua cattura sono le classiche conclusioni. Però ci sono altre soluzioni perché a volte, come si è detto a proposito della trama, conosciamo già l’assassino e quello che conta è che si risolva l’enigma, che si comprenda il meccanismo del delitto. Oppure che giunga al successo la caccia intrapresa da chi investiga. In genere al lettore non piace un assassino che se la cava, salvo casi particolari, piuttosto è disposto a vederlo morire alla fine della storia.

Arrivare alla soluzione finale non è semplice: il percorso deve essere accidentato e graduale. Ad esempio una confessione inconsulta per un pentimento del colpevole è da escludere. Si deve mantenere l’effetto sorpresa ma senza esagerare con i colpi di scena fini a se stessi, e con casualità inverosimili.

I modi sono vari. Sempre divertenti e utili all’autore le scene madri in cui l’investigatore raduna tutti i sospetti (ricordate le molte volte di Hercule Poirot?) e racconta, anche al lettore, come è giunto alla scoperta dell’assassino. Sono state molto sfruttate anche da altri nel giallo classico. Un esempio: P.D.James in Copritele il volto: Di comune accordo decisero che la riunione avrebbe avuto luogo nello studio. Qualcuno aveva disposto le sedie a semicerchio intorno alla scrivania e qualcuno aveva anche riempito d’acqua una caraffa e l’aveva posta alla destra di Dalgliesh. Dalgliesh sedeva solo alla scrivania e Martin sedeva alle sue spalle. Man mano che entravano nello studio, scrutò a uno a uno gli indiziati.

In un finale d’azione invece l’autore, per far vivere in diretta la soluzione al lettore, lo porta con sé in un luogo dove si svolgerà l’atto finale, a volte critico e avventuroso o pericoloso, come in La sostanza del male di Luca D’Andrea: Lasciai andare il ramo proprio mentre il fango ci investiva. Il Bletterbach era trasfigurato in un’apocalisse di acqua, melma e detriti.

In qualche storia non proprio tutto viene concluso, qualcosa rimane in sospeso, per suggerire un seguito o rimandare la caccia allo stesso colpevole lungo una serie. Molto difficile da fare con efficacia e quindi sconsigliabile. Dall’esperienza di lettore trovo coinvolgente terminare il romanzo con un ultimo capitolo dopo la spiegazione finale, una specie di piccola epicrisi, a volte in un tempo successivo, in cui si dà un ultimo saluto ai protagonisti e si viene informati su quale sarà il loro futuro o come ritornano alla vita quotidiana dopo la crisi che hanno vissuto.

* Agatha Christie 1936

Angela Borghi, medico, ha lavorato in ospedale e ora si dedica alle sue passioni, soprattutto scrivere. Ha partecipato ad antologie di racconti e pubblicato quattro romanzi gialli: Delitto al Sacro monte, I misteri del convento di Casbeno, Che domenica bestiale e La ragazza con il vestito azzurro.


continua il 9 maggio 2024


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IO DOVEVO UCCIDERE *

Dedichiamo qualche riga ai serial killer, figure che popolano la letteratura di genere da un certo momento in poi. La colonizzazione è stata inevitabile se pensiamo alla loro presenza inquietante nella cronaca e al fascino che esercitano, come personificazione di ciò che è primordiale e irrazionale in noi. Si è giunti al termine serial killer a partire dagli anni ’80 negli Stati Uniti e da lì sono nate ulteriori definizioni e classificazioni anche se gli assassini seriali sono molto più antichi, e non solo aldilà dell’oceano. A noi però interessa il loro ingresso trionfale nei “gialli”, dall’efferato mister Hyde di Stevenson a Norman Bates del romanzo Psyco, reso immortale dal cinema, al protagonista di Profumo di Süskind. E che dire dell’iconico Hannibal Lecter di Harris?

Per costruire il nostro serial killer possiamo ispirarci a quelli reali grazie ai quali siamo venuti a conoscenza di orrori inimmaginabili: feticismi, cannibalismo, devianze sessuali, necrofilia… Fondamentale il rimando alle motivazioni dell’assassino, anche se non si parla di movente in senso classico. Nelle nostre pagine dobbiamo approfondire la logica che ne determina il comportamento, l’esigenza di dominio, accennare a traumi infantili quasi sempre presenti, a fattori scatenanti come insulti psicologici ripetuti. Dalla realtà arrivano suggestioni abbondanti che ci aiutano a comporre il nostro personaggio e, quindi, la trama della storia. Si può sbrigliare la fantasia sulla tipologia delle vittime (donne, bambini ecc.), sulla presenza di sadismi, sulla tecnica di caccia, sulla scelta dell’arma, sull’organizzazione dei delitti. Come sempre però suggerisco moderazione: è più efficace catturare il lettore non con effetti speciali ma con arte sottile che lo seduca.

A volte è interessante porre l’accento sulla sfida con chi indaga. In questi tipi di gialli possiamo introdurre particolari investigatori come profiler o psichiatri. Il lettore si divertirà alle prese con messaggi lasciati sulla scena del crimine, modus operandi speciali, veri e propri enigmi da risolvere.

Un bel ritratto di serial killer lo trovate in Le strade dell’innocenza di James Ellroy:

Passò ore a fare pratica di judo e karate e a tirare al poligono, poi a fare flessioni, sollevamenti e addominali finché il corpo non gli diventò un unico dolore pesante. Tutto ciò servì solo da palliativo e si sentiva ancora tormentato dagli incubi. Andare a prendere giovani in strada era per lui come mimare oscene overtures: come banchi di nubi contorte che scrivevano il suo nome in modo che tutti gli abitanti di Los Angeles potessero leggerlo.”

* Clarence Hunt 1953

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continua il 18 aprile 2024


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IN QUATTRO COL MORTO *

Sviluppare la trama pagina per pagina fa svolgere l’indagine, il percorso che ci guida alla fine e alla soluzione dell’enigma. La narrazione è arricchita dai vari elementi che abbiamo già esaminato: l’idea iniziale, la scelta dell’ambientazione, il protagonista-investigatore, l’arma, i moventi ecc. A questi ingredienti ne vanno aggiunti altri, fondamentali per la riuscita della storia, tra cui i personaggi di contorno.

Il colpevole del delitto deve naturalmente esserci, anche se non dimentichiamo il primo geniale “giallo” della letteratura, Edipo Re, in cui l’investigatore è anche, a sua insaputa, l’assassino. Suggerimento banale ma utile: diamogli qualche caratteristica che non lo faccia odiare subito dal lettore.

Per quanto riguarda gli attori “secondari” danno colore alla storia, se presentati però devono avere un ruolo, anche minimo, nel meccanismo narrativo oppure, se proprio vogliamo delle comparse, devono far parte di una descrizione di un luogo visitato dal protagonista e caratterizzarlo con il loro aspetto, contribuire a crearne l’atmosfera, nel caso anche come presenza incongrua rispetto al posto.

Nel corso dell’indagine uno o più personaggi saranno sospettati di essere il colpevole e quest’ultimo dovrà comparire, senza rivelarsi, ben prima dell’ultima pagina.

Ma i nostri personaggi li descriviamo? Ci sono scuole di pensiero diverse. Come lettrice preferisco che mi si dia qualche notizia fisica e di vita, ma senza esagerare, magari pochi dettagli alla volta nella narrazione. Il resto mi piace immaginarlo.

I dialoghi vivacizzano e rendono meno piatti i protagonisti e servono per fornire al lettore le notizie sull’indagine, ma non devono essere integrali, qualche parola la si può sostituire con l’azione o i pensieri.

Sulla vita dei personaggi cito Kurt Vonnegut: Sii sadico. Non importa quanto dolci e innocenti siano i tuoi personaggi, fa che accadano loro cose tremende, così che il lettore possa vedere di che stoffa sono fatti.

Per essere appassionante e gradevole, questa insalata mista deve avere un suo ritmo, armonizzato con il tipo di storia che vogliamo, con parti veloci e altre più lente, mai forzato, con il giusto dosaggio di logica e azione, indizi e suspense. Mano leggera con il sorprendere e lo stupire, ma considerare che ricorrere solo all’ovvio non diverte. Consiglio di leggere i gialli di Fred Vargas, dove i personaggi hanno vite e passioni stravaganti o quelli di Donato Carrisi che ci fa viaggiare in mondi segreti e oscuri al limite del possibile.

* Judson Philips 1953

Angela Borghi, medico, ha lavorato in ospedale e ora si dedica alle sue passioni, soprattutto scrivere. Ha partecipato ad antologie di racconti e pubblicato quattro romanzi gialli: Delitto al Sacro monte, I misteri del convento di Casbeno, Che domenica bestiale e La ragazza con il vestito azzurro.


continua il 4 aprile 2024


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LA CHIAVE DELL’ENIGMA *

Il delitto che raccontiamo deve esser collegato a un enigma, che rappresenta la sfida tra lettore e autore, così come quella tra investigatore e assassino. Il mistero accompagnerà chi legge pagina per pagina, fino alla soluzione, che arriverà di sicuro, ma secondo un meccanismo che prevede ogni passo come un sorpresa. L’abilità dello scrittore sta nel disseminare nella storia una serie di tracce e indizi.

Le tracce sono in genere fisiche: orme lasciate sul terreno o impronte scoperte su un oggetto, magari su una parte impensabile, o qualcosa che l’assassino ha perso nell’azione e viene ritrovato per caso. Gli indizi possono essere intuizioni logiche da parte dell’investigatore (inteso come chiunque compia le indagini), basandosi su notizie, come una parentela non conosciuta o che possono giungere da un lavoro psicologico di immedesimazione con il colpevole.

I famosissimi personaggi-simbolo dei due estremi di approccio all’indagine sono Sherlock Holmes di A.C.Doyle, con l’inseparabile lente di ingrandimento alla ricerca di tracce, sulle quali applica il suo metodo rigorosamente deduttivo e Hercule Poirot, di A.Christie che invece si concentra sugli indizi psicologici, sulle motivazioni dell’assassino. Lo scrittore sceglierà la propria via, magari in equilibrio tra i due tipi di investigazione.

In tutti i casi è importante descrivere la scena del delitto, enfatizzando qualche particolare illuminante per l’indagine. Un utile stratagemma è un dettaglio tecnico di qualche materia (medicina, chimica ecc.) che può smascherare l’assassino e che l’investigatore sa per sua competenza, gli viene riferito o che scopre per caso. Inseriamo dunque il ruolo delle coincidenze e l’argomento, delicato, della loro verosimiglianza. Arricchiscono la storia, possono essere quasi incredibili ma va ricordato quanto già detto sulla credulità del lettore, da stimolare al massimo ma non da oltrepassare. Sull’argomento cito Mark Twain: “La letteratura è costretta a rispettare la verosimiglianza. La vita no”.

Non si può terminare un discorso sul mistero e l’enigma senza ricordare un filone di gialli in cui questo è assolutamente in secondo piano, nel realismo di storie come quelle di Raymond Chandler, di Dashiell Hammet e di James Ellroy, ma anche di quelle di Jules Simenon con il Commissario Maigret, che è più interessato al dramma umano che sta dietro a ogni delitto.

* George Harmon Coxe  1964

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continua il 14 marzo 2024


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CORPO CONTUNDENTE *

Nello schema del giallo il punto di partenza è il crimine, l’evento misterioso che qualifica la storia. Il nostro racconto deve comprendere almeno una morte violenta o, meglio, una catena di delitti. In alternativa un caso molto drammatico, come un rapimento o una rapina. Le regole classiche suggeriscono che il crimine debba avvenire abbastanza presto, nella narrazione, per lasciare poi spazio al secondo punto della trama, l’indagine.

I dettagli sono essenziali per la credibilità della storia. Per prima cosa il movente, che sarà proporzionato e determinato da una logica, che fa capo all’assassino. E’ importante perché suggerisce il legame del colpevole con la vittima e quindi scoprirlo indirizza le indagini. Le due grandi categorie di moventi sono: la passionale (amore/odio, gelosia, invidia, desiderio di vendetta ecc.) e l’economica, cioè un beneficio in soldi o di altro tipo che riceverà l’omicida dal suo delitto. In questo argomento dobbiamo però almeno accennare ai serial killer, anche se avranno uno spazio più avanti. Il movente non è subito evidente ma c’è una spinta a uccidere per motivi intrinseci all’assassino e la ricerca di una gratificazione psicologica di varia natura.

La scelta accurata dell’arma del delitto è fondamentale per la partenza dell’indagine, e dà una prima indicazione sul colpevole. L’assassino non la sceglie a caso, e quindi nemmeno l’autore deve farlo! Le possibilità sono tantissime: solo Agatha Christie, nei suoi romanzi, ne ha usate almeno sedici diverse: dall’investimento al tradizionale colpo di pistola, fino all’arco e frecce o una scarica elettrica come in Poirot e i quattro.

Vale il consiglio generale di considerare la forza fisica che serve per usarla e di tener presente la differenza tra uomo e donna nella scelta, per propensione psicologica. L’autore deve avere o acquisire nozioni tecniche e anatomiche, ad esempio deve saper descrivere gli effetti di un fungo velenoso oppure la forma di una ferita da pugnale.

In alcuni gialli l’arma è al centro del mistero perché non si trova o perché è strana, diabolica. Qui scatta però il solito avvertimento di evitare soluzioni troppo complicate e inverosimili, per non forzare la credulità del lettore.

Per citare un raffinato strumento di morte in letteratura segnalo il velenoso acido cianidrico versato in un serbatoio per nebulizzare il pesticida di un trattore in La tomba di Helios di Pierre Magnan.

E per quanto riguarda un movente particolare ecco l’incipit di La morte non sa leggere di Ruth Rendell:

Eunice Parchman sterminò la famiglia Coverdale perché non sapeva leggere, perché non sapeva scrivere.

Che è anche un bell’esempio di inizio fulminante.

* Georgette Heyer  1938

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continua il 22 febbraio 2024


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POIROT INDAGA *

La colonna portante del nostro racconto di suspense è il protagonista: è necessaria una sua costruzione accurata, perché è il personaggio con il quale il lettore si identifica e si confronta. Nella maggior parte dei casi, ma non in tutti, coincide con il detective, colui che pratica la detection, l’indagine, che sia un professionista o un dilettante capitato per caso o per sua volontà nel cuore degli avvenimenti.

La rassegna dei grandi detective della storia del genere, divenuti immortali, usciti dalle pagine di origine e sopravvissuti ai loro autori ci porterebbe via molto tempo. Ma li conosciamo già quasi tutti, come se fossero nostri parenti: Poirot, Sherlock Holmes, Nero Wolfe, Maigret, il commissario Montalbano, eccetera. Qualcuno dalla straordinaria intelligenza, qualcuno dall’umanità rassicurante, molti con un compagno di avventure dalla personalità più modesta. Essenziale, per noi inventori di storie e persone, che ci sia lo spazio per uno sguardo sulla vita privata del protagonista, sulle sue manie, fragilità e punti di forza, oppure sul suo interessante passato. Un altro consiglio è che sia originale e abbia un lato stravagante come il commissario Adamsberg di Fred Vargas, il sognante “spalatore di nuvole” dagli abiti stazzonati o la paciosa signora Ramotswe di Alexander Mc Call Smith che beve litri di tè rosso nella sua agenzia investigativa in Botswana. Per non parlare dei dilettanti, sempre una risorsa: preti, zitelle, giornalisti, autori di programmi televisivi, vecchietti giocatori di carte…ciascuno troverà la propria strada e il proprio soggetto protagonista, che può anche diventare seriale. L’importante è che parta, per la sua indagine, dalle stesse condizioni di chi legge. Gli indizi e le prove scoperte devono essere accessibili, per il rispetto del patto tra lettore e scrittore, tranne eventualmente per qualche passaggio da lasciare misterioso, di cui peraltro fa abbondante uso anche Agatha Christie.

Attenzione in particolare a scrivere pochissimo di quello che i personaggi pensano o sentono, questo deve trasparire da quello che fanno o dicono. Lo show don’t tell, calibrato al taglio della storia, funziona anche nel giallo. Non spiegare i sentimenti, ma le cose. Mai dire: “Si emoziona”, descrivere le azioni, attraverso queste si arriva ai sentimenti.

Un esempio, la descrizione di un clochard in Alessandro Robecchi:

Spinge a piccoli strappi nervosi un carrello del supermercato che si incastra malamente nelle fessure del marciapiede, traballa, si inclina. Lui, si inclina anche lui, come i sacchetti e gli stracci nel carrello, sembra lì lì per cadere da un momento all’altro.

* Agatha Christie  1924

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continua il 1 febbario 2024


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APPUNTAMENTO CON LA PAURA *

Suspense deriva dal latino suspensum, “in sospeso”. E’ un ingrediente essenziale, nel giallo. Va tenuta viva durante lo svolgimento della trama. Bisogna agire sul ritmo, ma senza rinunciare alle parole per l’ambientazione, alla complessità psicologica, persino alla divagazione, con equilibrio.

Per mantenere lo stato di tensione emotiva, di inquietudine, possiamo ricorrere a espedienti. La minaccia di un’azione violenta o pericolosa. Descrivere avvenimenti che suscitano emozioni o esperienze emotive. Creare ostacoli al protagonista come scadenze di tempo o danni fisici che ne limitino l’azione e lo rendano vulnerabile (come il personaggio di Amnesia di J.C. Grangè). Saper dosare anticipazioni, digressioni, flash-back, dettagli all’apparenza insignificanti, situazioni insensate o casuali.

La suspense è potenziata dall’atmosfera che costruiamo intorno alla storia. Per questo ci serviamo di tutti i sensi a nostra disposizione, gli odori, i colori, i suoni e anche il cosiddetto sesto senso: ad esempio la sensazione di tragedia che avverte un personaggio, senza ragione. Descriviamo le percezioni sensoriali. L’ambientazione diventa fondamentale, pensiamo a luoghi indimenticabili come il treno bloccato dalla neve in Assassinio sull’Orient Express di Agatha Christie o l’Istituto psichiatrico su un’isola disabitata in L’Isola della paura di Dennis Lehane.

Qualche appunto sullo stile, fermo restando il concetto che ognuno ne troverà uno personale, che riflette il proprio modo di essere, anche sperimentando nuove strade. Lo stile è il modo in cui scegliamo di raccontare la storia ed è fatto di varie componenti: la lunghezza delle frasi, che può essere diversa in base alle azioni da descrivere, il lavoro sulle immagini piuttosto che sulle astrazioni, il linguaggio. Qui il discorso si allarga molto: due consigli generali. Per essere efficace il linguaggio deve essere coerente con l’ambientazione e con i personaggi, è intuitivo che non faremo parlare o pensare uno scaricatore di porto come un baronetto inglese (a meno di personaggi sotto mentite spoglie…) oppure che non useremo neologismi in un giallo storico. Forse è un consiglio banale, rilancio suggerendo, come già fatto per i luoghi della storia, di raccontare di ciò che si conosce e di cui si sanno usare le parole. Inutile ripetere che chi scrive impara a “maneggiare” il linguaggio e arricchisce il vocabolario anche con la lettura.

Consigli di lettura su questi argomenti: Quer pasticciaccio brutto di via merulana di Gadda e Dolores Claiborne di Stephen King entrambi per la scelta di linguaggi estremi ma aderenti ai personaggi.

* Agatha Christie  1961

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continua l’11 gennaio 2024


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MORTO CHE PARLA *

Ora costruiamo una trama. Diamo forma e corpo all’idea che abbiamo. La trama classica è un processo di trasformazione di un protagonista che agisce in una continuità temporale. Nel caso del giallo il percorso è: delitto/indagine/soluzione del caso. Ma è solo una delle tante possibilità: a volte il colpevole è già noto al lettore e nella storia si ricostruiscono le prove, oppure il senso drammatico si sposta sul perché del crimine. O ancora in alcune “minitrame” c’è un unico personaggio che racconta la propria vita interiore.

L’importante è che l’intreccio stia in piedi, un meccanismo che deve essere perfetto e funzionare sempre senza incepparsi fino alla fine. Però in modo semplice: no a soluzioni troppo complesse. E seguiamo il principio dell’iceberg, suggerito da Hemingway, secondo il quale la scrittura è come un iceberg: solo un ottavo visibile al di sopra dell’acqua. Non esageriamo con i chiarimenti e lasciamo qualcosa di inespresso che il lettore può percepire (anche nel giallo!). Baudelaire diceva che le parti migliori di un libro sono le spiegazioni omesse. Anche questo serve a mantenere viva la tensione e a non annoiare. Il compito di raccontare è affidato a una voce narrante.

Chi parla in prima persona è dentro la storia, come Watson, amico di Sherlock Holmes in Arthur Conan Doyle, chi lo fa in terza persona può assumere gli occhi di un personaggio e attraverso questi filtrare la realtà oppure essere esterno. E onnisciente, che dà il vantaggio di passare da un personaggio all’altro rendendo più vivace la scrittura. Scegliere il punto di vista è uno dei momenti più delicati, determina non solo il meccanismo di conoscenza degli avvenimenti ma anche il colore della storia. Il narratore esterno nascosto descrive la vicenda in modo oggettivo ed è più distaccato, quello interno conosce i fatti a poco a poco come il protagonista ed è più coinvolto.

Non necessariamente il punto di vista è quello di chi indaga, può essere del colpevole o si può far parlare persino la vittima: pensiamo ad Amabili resti di Alice Sebold. Variare alternando le voci può essere interessante, soprattutto se i personaggi sono molto diversi tra loro.

Come scelta particolare citiamo La scomparsa di Patò di Andrea Camilleri: il romanzo è composto solo da documenti: articoli di giornale, lettere, esposti, verbali di polizia ecc. dai quali si evince l’intreccio.

* Rex Stout 1950

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C’ERA UNA VOLTA*

Al momento della nascita della nostra storia criminale, ci si presentano le possibili ambientazioni. L’universo narrabile è veramente infinito: dalle forme tradizionali come il delitto in una camera chiusa oppure durante una festa alle varie opportunità di spazio e di tempo, il passato e il futuro, e storie che si dipanano tra i ghiacci dell’Artico o nelle vie di una metropoli. Le scenografie insolite sono allettanti ma va ricordato che è molto difficile essere originali in un mondo narrativo già tutto esplorato. Meglio allora muoversi in un paesaggio ben conosciuto, di cui si è respirata l’atmosfera che vogliamo ricreare. Per vivacizzare, un utile espediente può essere quello di introdurre un personaggio inaspettato in un certo ambiente.

L’inizio è un momento delicato perché è quello che spinge a infilarsi nella storia o abbandonarla. Le regole per un incipit efficace sono suggerite più che altro dall’esperienza di lettore. Un primo paragrafo breve e semplice può essere vincente: chi legge non vuole essere scaraventato in un mare di fatti complessi, soprattutto se collegati a personaggi che ancora non conosce. Più che informare è meglio alludere, accennare, sedurre.

Se vogliamo dare notizie funzionali alla storia c’è una deliziosa tecnica detta “della prolessi” o della “pistola di Cechov”: se nel primo capitolo dici che c’è un fucile appeso al muro, nel secondo o terzo capitolo deve assolutamente sparare. A dire che l’informazione deve essere un indizio di ciò che accadrà.

L’incipit descrittivo invece va trattato con cautela, come sempre le descrizioni e le digressioni nel racconto di suspance. Vanno bene per presentare il mondo in cui ci muoviamo e, durante la narrazione, per rallentare il ritmo e far prendere fiato al lettore, ma non per addormentarlo.

Un bell’inizio può essere un ribaltamento cronologico degli eventi: si narra una scena avvenuta nel passato o, meglio ancora, nel futuro rispetto al tempo della storia, ad esempio il finale. Una frase iniziale molto consigliata non è statica ma contiene già una certa azione, o comunque una promessa di movimento. E, a proposito di importanti promesse, ecco l’incipit di La donna della domenica di Fruttero e Lucentini: “Il martedì di giugno in cui fu assassinato, l’architetto Garrone guardò l’ora molte volte”.

* Agatha Christie 1949

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continua il 7 dicembre 2023


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