di Amelia Di Corso
Sotto il balcone di casa dei miei, c’è un pezzo di terra. Affacciandomi dal primo piano, ho sempre visto questo rettangolo poco più ampio del balcone, circondato da un metro di muretto sopra il quale spuntano, a cornice, piante di alloro. Quando torno a casa e guardo giù, mi ricordo di me.
Sono cresciuta su questa lingua di terra. Quando ero piccola se un giocattolo cadeva giù, era un’avventura scendere e scavalcare il muro per recuperarlo, certe volte lo lanciavamo apposta; quando è morto il criceto di mia sorella, lo abbiamo messo in una scatola di scarpe e lo abbiamo seppellito lì, con una croce di rametti; da che io mi ricordi, dopo i pasti, le briciole sulla tovaglia sono sempre state sbattute al di là del balcone, in quel giardinetto. Una volta ci ha sorpresi una mano di foglie che salutava, spuntava più alta del nostro parapetto: uno stelo lungo e flessibile si muoveva al vento, era un limone altissimo, nato chissà come in quel terriccio e cresciuto fino a noi. Poi l’hanno tagliato a metà, ché per bellezza del palazzo nessuna pianta poteva superare l’alloro.
È stato in quel periodo che ho iniziato a porci attenzione. Buttavo giù tutti i noccioli della frutta che mangiavo. Intere estati in cui ho soffiato raffiche di semi, mentre appoggiata alla ringhiera mordevo fette di anguria, il succo che correva lungo le braccia fino ai gomiti, immersi in una pozza sul ferro battuto. Ma nessun cocomero o melone è mai nato, nessuna pesca, nessuna mela. Solo quel limone, sempre lì, ad altezze alterne. E allora le briciole della tovaglia sono diventate per lui, il gesto si è fatto rito, nutrire la terra, condividere il cibo; se non pioveva, anche l’acqua versavamo. E ci è venuta voglia di assaggiarli quei limoni, e l’attesa è stata lunga, ogni giorno erano sempre ancora verdi. Poi una mattina sono diventati gialli. I nostri limoni. Mica del palazzo, che ne sapevano quelli di sopra, loro in quel giardinetto non ci hanno lanciato che qualche molletta dei panni caduta per caso. Io e mia sorella siamo scese emozionate, bisbigliavamo senza motivo, quatte quatte abbiamo saltato il muretto, l’alloro che ci graffiava. I limoni erano nostri, ovvio, ma sembrava comunque un furto. Mi ricordo i brividi. Non esageriamo, solo i due più grandi, gli altri facciamoli crescere. Quando a casa abbiamo mostrato il bottino, papà non l’ha voluto assaggiare, chissà che ci sta in quella terra, sotto a un palazzo, a un centimetro dalla strada. Le nostre facce.
Poi mamma ci ha fatto una limonata fresca. È la più buona del mondo, ci siamo dette noi due, piazzate nelle nostre sedioline di plastica, davanti alla sigla di Bim Bum Bam. Bevila piano, così ti dura fino alla fine dei cartoni.
Amelia Di Corso. Sceneggiatrice e drammaturga. Fonda L’Avvelenata e produce contenuti teatrali, letterari e cinematografici. Crea il Premio Letterario L’Avvelenata (in giuria Daniele Mencarelli, Alessandra Carati, Paolo Zardi) e il podcast letterario «Aperte Virgolette».
Selezione di racconti da XI Concorso “Il Corto letterario e l’illustrazione”, NARRATIVA (Scrivere il corto) ALBERI DAL MONDO ( Sezione dedicata a Maniglio Botti)
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