Di Davide Di Lorenzo

La domenica sera muoio sempre.

Risorgo il lunedì mattina. Preparo il caffè anche se la caffettiera è guasta. Forse sono guasta io. Ho dei crampi strani al mignolo del piede. Fumo imbronciata sul balconcino la prima sigaretta. Valuto lo stato dei lavori del cantiere che mi sta di fronte. Vorrei scriverti a che punto sono, è da tempo che non dormi da me.

Ho pochi giorni di vita. Questa settimana mi pare interminabile. Domani sarà martedì e mi farà male la stanza. Mi farà male guardare dalla finestra. Mi farà male vedere i bambini andare a scuola, gli universitari all’università, la gente fare la spesa. Avranno tutti un posto e soltanto io non saprò dove andare. Sono disabituata a un’esistenza taciturna. Sono disincantata senza i tuoi lamenti. Era ciò che mi dava motivo di arrabbiarmi, di distinguermi a prescindere, di piangere senza lacrimare.

Mercoledì lavorerò ma non lavorerò, penserò alle tue smagliature. Ricorderò i suoni di cui hai cosparso il mio cuscino negli ultimi mesi, gli odori che hai impresso sugli asciugamani. Camminerò per quattro ore al giorno. Quando mi farà male camminare mi fermerò e prenderò l’autobus, se passerà. Pulirò il bagno in maniera maniacale. Non riconoscerò i miei capelli. Lavorerò ma non lavorerò. Presentarmi sarà doloroso e faranno tutti finta di niente. Sorriderò, poi spegnerò le luci e smetterò di colpo. Le proiezioni dei miei desideri saranno talmente deboli che mi coprirà il buio. Mi addormenterò. Anche questa notte sarà solo mia.

Giovedì le strade diventeranno immense. Eviterò i marciapiedi per dare senso alla mia passeggiata. Alle otto di sera sentirò il primo freddo e indosserò il primo cappotto. Sarò felice. Imparerò ad amare i miei capelli e berrò quel vino rosso che piace soltanto a me.

Mi sveglieranno i muratori venerdì mattina. Non avrò dormito neanche un secondo. Ti scriverò, ti aggiornerò sullo stato dei lavori del cantiere.

Sabato andrò al mare da sola. I passi affonderanno sulla sabbia tiepida. Piangerò senza lacrimare. Cercherò di non far uscire nemmeno mezza lacrima. I miei pensieri cesseranno. Mi dirò che la mia rabbia non mi appartiene, che odio te in quanto me e me in quanto te, che voglio stare da sola anche se non so più se so farlo, ma soprattutto che tutto ciò non è un problema. Io non sono un problema.

Domenica ci vedremo per cinque, sei ore, troppo poco per parlare, abbastanza per tacere, tenerci per mano, guardarci negli occhi. Nel pomeriggio ti lascerò di nuovo. Mi convincerò di aver fatto la scelta giusta. Avrò dei crampi strani al mignolo. La sera morirò.

La domenica sera muoio sempre.

Selezione di racconti da XI Concorso “Il Corto letterario e l’illustrazione”, NARRATIVA (Scrivere il corto) RACCONTI D’AMORE ( Sezione dedicata a Maniglio Botti)

IL CAVEDIO associazione culturale e sportiva dilettantistica APS ———————————————– segreteria1997@ilcavedio.org

Di Andrea Bardelli

L’acqua bolliva sul fornello, le uova strapazzate sfrigolavano sulla padella, e per la casa si spandeva un odore agrodolce. Nella stanza accanto Joseph dormiva ancora, e dalla cucina Anna poteva sentire il suo respiro regolare, come di chi dorme un sonno senza sogni.

Sorrise tra sé, pensando a tutte le volte che il figlio si era svegliato di soprassalto in preda all’angoscia; con passi misurati si avvicinò alla porta e lo chiamò con un sussurro di voce. Le dispiaceva svegliarlo, ma era giorno di scuola.

Dopo aver fatto colazione, uscirono insieme per prendere il solito autobus che li avrebbe portati in piazza Khaimson dove si trovava la scuola. La luce dei lampioni illuminava ancora la strada.

L’autobus arrivò puntuale e loro presero posto uno accanto all’altro, di fianco all’autista. Lei aprì il giornale che aveva appena comprato all’edicola lì vicino e si immerse nella lettura, mentre suo figlio teneva la testa piegata sul cellulare. Nell’articolo in prima pagina un esperto di intelligence elencava alcuni elementi che lasciavano presagire una ripresa dei lanci di missili dalla striscia di Gaza verso Askelon. Alzò la testa dal giornale e fissò per un attimo Joseph, e un brivido freddo le corse lungo la schiena. Quella guerra le pareva sempre piu’ assurda e il suo lavoro era lì a provarlo, perché lei, maestra elementare, sperimentava ogni giorno la possibile convivenza tra bambini ebrei e palestinesi.

Chiuse il giornale e guardò le villette con piscina che componevano l’insediamento israeliano appena costruito nel territorio occupato. La giornata si preannunciava calda per essere nel mese di novembre e nulla lasciava intuire una ripresa del conflitto.

Arrivati alla fermata, scesero dal bus, e dopo un bacio veloce – Joseph non amava che lei facesse effusioni in pubblico – si separarono, ognuno diretto alla propria scuola.

Guardò l’orologio e si accorse che era in ritardo. Affrettò il passo e non si avvide di una buca nel terreno, che era ricoperta dalle foglie cadute dagli alberi. Il piede destro sprofondò nella piccola voragine, e la caviglia si girò in modo innaturale. Avvertì subito un dolore lancinante e cadde a terra. Si prese la caviglia tra le mani, e restò immobile ad occhi chiusi, mentre due lacrime le rigavano il volto. Quando alzò lo sguardo, la prima cosa che vide furono due occhi neri che la fissavano incorniciati da una Kefiah. Era sul punto di cacciare un urlo di terrore quando l’uomo le sorrise e allungò una mano nella sua direzione, e lei per la prima volta non ebbe paura. Il sole stava sorgendo all’orizzonte.

Andrea Bardelli, di origini lombardo-venete, è nato a Varese, e risiede ad Albizzate. Ama i cantautori degli anni Sessanta, leggere e camminare. Ultimamente ha scritto “Il pianto del capitano”, poesie di colore nerazzurro, con prefazione di Gianfelice Facchetti.

Selezione di racconti da XI Concorso “Il Corto letterario e l’illustrazione”, NARRATIVA (Scrivere il corto) RACCONTI DI GUERRA E PACE ( Sezione dedicata a Maniglio Botti)


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di Carlo Battaglini

Prima dell’alba il cielo si capovolse; poche stelle vi palpitavano, liberate di tanto in tanto da nuvole invisibili. Il soldato Rudy le guardò attraverso la pioggia di polvere, e le vide lontane, sconosciute. Non aveva mai guardato davvero il cielo, non aveva mai avuto bisogno di sperare in qualcosa. E ora aveva fallito: per la prima volta non si era accorto di una mina, forse perché pensava a lei.

Lei.

Lei era salva; per la prima volta Rudy si era ribellato al comandante Rugoj che voleva mandarla a esplorare il campo minato sulla strada del plotone sovietico diretto verso l’Hindu Kush Afgano, dove stavano le statue del Buddha di Bamiyan.

“Sono la nostra storia…” aveva detto Rugoj parlandone.

La nostra storia.

No. La storia di Rudy era l’essere stanco di quel cerchio vizioso di guerra eterna che lo riportava sempre sopra un campo minato, sempre più stanco, più vecchio, più ignaro del futuro, almeno fino a quando lei gli aveva rivelato di avere in grembo i suoi figli. Il suo futuro. Il loro segreto.

Rugoj guardò Rudy rantolare. Non sapeva se fosse più scosso dalla sua morte o dalla sua prima disubbidienza. Era come se Rudy avesse avuto una premonizione e si fosse sacrificato per Laika. Ma perché? Rugoj li aveva addestrati a non provare emozioni, né soprattutto sentimenti. E ora scopriva che nessuno, neanche lui, l’inflessibile capitano Rugoj, ne era immune. Ripensò a Rudy quando era un cucciolo, e a quando divenne il migliore del gruppo cinofilo di sminamento. Tornò a guardare la piantagione di morte che andava illuminandosi, e la vide sfocata. Ebbe un attimo di distrazione, e Laika ne approfittò per sfuggirgli, per correre verso Rudy. E Rugoj capì. E non fece nulla se non rivolgere gli occhi al cielo, dove le stelle avevano lasciato il posto a scie rosse, come se anche il sole fosse perito di morte violenta.

Sul campo minato, ormai vicina a Rudy, Laika venne presa dal panico: anche la distanza più breve è un viaggio se ogni millimetro corrisponde a un respiro. Lanciò un ululato disperato, di terrore indomabile. La paura di perdere i figli vinceva sul desiderio di toccarne il padre.

“Non piangere amore mio,” mugolò Rudy. Non voleva andarsene con quel guaito nelle orecchie.

Non piangere.

Aveva bisogno del silenzio, per sperare: i suoi figli avrebbero dovuto guardare le stelle, sapere che possono caderti addosso come fiocchi di neve, una dopo l’altra, insieme ai ricordi e alle speranze.

Non dovevano morire come lui. Non avrebbero mai dovuto vedere il cielo capovolgersi.

Carlo Battaglini nasce a Milano il 23 maggio 1960. Si laurea in geologia nel 1985. Lavora in tutta Italia, ma perde la vista nel 2017. Scrive da sempre. Finalista in vari Premi Letterari, ne vince tre. Ha pubblicato racconti, articoli e un romanzo.

Selezione di racconti da XI Concorso “Il Corto letterario e l’illustrazione”, NARRATIVA (Scrivere il corto) RACCONTI DI GUERRA E PACE ( Sezione dedicata a Maniglio Botti)

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LA FORMAZIONE DELLO SCRITTORE, che siamo qui a fare?

Se la nostra comprensione del mondo non si allarga ogni volta che risolviamo i problemi di scrittura sulla pagina scritta, che siamo qui a fare? Forse perché l’editore Furbacchione ci chieda ogni volta tremila euro vendendoci il più prezioso degli elisir? Vogliamo davvero vivere nell’illusione? In questo caso vi dico subito amici come prima. Non ho argomenti per convincervi del contrario.

Più avanti accenneremo alla novità dell’intelligenza artificiale, al transumanesimo, al meanstream. Argomenti di attualità, di cui parlare. Ho la speranza, in questo capitolo di Extra dry, di dare stimoli alla riflessione. L’obiettivo è la formazione dello scrittore, che per noi coincide con la visione realistica di un mondo nel quale i valori sono quelli che, in quanto valori, restano. 

continua il 15 giugno

Abramo Vane, giornalista e scrittore, insegna alla Scuola di Scittura delle Edizioni IL CAVEDIO. Ha pubblicato libri di narrativa, d’arte, di poesia.


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Di Mario Trapletti

Era lì che annaspava in un incubo: alberi d’ogni genere e forma, tutti mostruosamente giganteschi, lo inseguivano in una spaventosa sarabanda. Al pari di ciclopici ragni ubriachi, agitavano scomposti i grovigli delle poderose radici.

Per buona fortuna, il loro disarticolato agitarsi ne frenava l’impeto, li faceva cozzare l’un contro l’altro, producendo un frastuono infernale, nel quale a stento si potevano distinguere le imprecazioni e le terrificanti minacce profferite da quei dinosauri vegetali.

Un incubo martellante che innescava aritmie tachicardiche nel petto della preda. Non sapeva, non capiva perché quegli alberi dalle dimensioni iperboliche ce l’avessero tanto con lui, perché lo inseguivano minacciosi e inferociti. In fin dei conti, lui era solo il progettista della nuova megalopoli modello che sarebbe stata edificata al posto di una inutile e antiestetica foresta. Il mondo era pieno di piante, per lo più inutili: che cambiava se ne avessero tolte di mezzo pochi milioni?

Era stata questa frase, pronunciata durante la posa di una simbolica prima pietra al limitare della foresta, a scatenare quella specie di Armageddon vegetale. Si era udito un tuono composto di mille, un milione di orrendi tuoni, e subito dopo si era materializzata quella armata Brancaleone composta da simulacri dei mitici Ent di tolkiana memoria, ma ben più veloci. L’incubo aveva preso forma e gambe, e aveva iniziato, scomposto e truculento come solo sanno esserlo gli incubi, a dargli la caccia senza tregua. Percepiva fisicamente il loro odio viscoso; il loro sbraitare frondoso gli sbrodolava su tutto il corpo schizzi di linfa appiccicaticcia. Li sentiva, quei leviatani di terra, percuotere il suolo con la monumentalità dei loro tronchi smisurati, facendolo vibrare come un moto perpetuo sismico.

Il bilioso astio vegetale gli rosicchiava, inesorabile, centimetro dopo centimetro. Avesse perseverato a fuggire in linea retta l’avrebbero raggiunto ben prima di attingere l’infinito. Se voleva sopravvivere almeno fino al giorno dell’inaugurazione del suo sogno megalopolitano, non aveva scelta: doveva riuscire a seminare l’esercito forestale.

E mentre l’incubo dentro di lui si dilatava fino ad accartocciargli i polmoni, ecco che, con mosse fulminee da vero stratega, riusciva a seminarli, ma più lui li seminava, più quelli aumentavano di numero. Lui li seminava, e loro crescevano, crescevano e si moltiplicavano… un vero incubo!

Sergio Endrigo si svegliò madido di sudore, e però aveva trovato il verso che gli mancava:

per fare l’albero ci vuole il seme

Selezione di racconti da XI Concorso “Il Corto letterario e l’illustrazione”, NARRATIVA (Scrivere il corto) ALBERI NEL MONDO ( Sezione dedicata a Maniglio Botti)

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Di Echo Ranzoni

Ha le mani premute sull’erba e la nuca bagnata dalla rugiada. Sdraiato, dorme, con la bocca leggermente aperta. Sopra di lui il cielo è dell’azzurro limpido che hanno le giornate di primavera. Il suo viso pallido risplende ai raggi del sole.

Dorme tranquillo, nel pieno del pomeriggio. Chi lo conosce direbbe che questo è un evento raro. Lui è sempre in movimento, sempre indaffarato. Sua madre lo ripete a chiunque voglia prestarle orecchio: i suoi primi passi lui li ha fatti correndo. E la corsa, fin dal nono mese di vita, è diventata il suo tratto di riconoscimento.

Anche per questo alcuni mesi fa gli è stato chiesto di supportare il suo paese, di agire a favore della libertà. Lui ha accettato questo impegno, con l’istinto di proteggere chi ama ogni giorno più forte, e nel giro di poche settimane è diventato una parte importante della sua comunità.

Ora lo conoscono tutti, “il velocista” lo chiamano. Che porti pane o munizioni poco importa, saperlo tornato a casa sano e salvo è sufficiente a far tirare un sospiro di sollievo a chi gli vuole bene. La sera le storie che si raccontano ai più piccoli hanno lui come protagonista; raccontano di come si prenda gioco della Milizia e sia più veloce persino delle pallottole. A lui essere lodato però non importa. Pensa solo a svolgere il suo compito e a quello che gli è stato portato via. Ci sono cose che gli mancano più di altre, come la sambuca fatta fermentare dalla vicina di casa, il rumore delle macine a lavoro, le primule di fine marzo tra i capelli di sua sorella.

Se solo aprisse gli occhi vedrebbe alcune primule crescere timide vicino alle sue scarpe consumate e si ricorderebbe di quei momenti lontani. Ma lui dorme. I nuovi odori della primavera non gli pizzicano il naso, il canto del codirosso non può dargli fastidio. Indossa abiti stropicciati da ragazzo e un fazzoletto intorno al collo. Ha due buchi rossi nel petto, leggermente a sinistra.

Echo Ranzoni è un designer grafico con un’infinita passione per l’arte in tutte le sue forme. Ha pubblicato alcuni racconti su riviste e antologie indipendenti, partecipando negli anni a diversi concorsi letterari. Echo è fatto della terra sulla quale è cresciuto, che cerca di portare in ogni suo racconto.

Selezione di racconti da XI Concorso “Il Corto letterario e l’illustrazione”, NARRATIVA (Scrivere il corto) RACCONTI DI GUERRA E PACE ( Sezione dedicata a Maniglio Botti)


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di Pierre Ley


di Roberto Filippini

La nostra valle è nascosta tra montagne incredibili per bellezza, un luogo sereno dove i fiumi intrecciano i loro percorsi e gli abitanti condividono segreti.

Alfio fu l’unico a combattere nel primo conflitto mondiale, e per la nostra piccola comunità la guerra era tutta nei suoi racconti. Ma gli uomini che gestiscono il potere non amano la pace e così alla prima seguì una seconda guerra, con bombardamenti sulle città e sui civili. Ogni luogo, anche il più isolato, fu in pericolo.

Un giorno, nell’aria frizzante che annunciava la primavera, il rombo sordo di aerei distanti spezzò la quiete. Il cielo, abituato alle danze di falchi e poiane, si macchiò di scie sinistre. “Sono solo di passaggio” disse Alfio, con la sua faccia triste che era l’immagine della sofferenza patita in guerra.

Aveva ragione, erano di passaggio. Un aereo però, come un uccello predatore, lasciò cadere una bomba. La chiesa, simbolo della nostra comunità, le case adiacenti e il parco dove giocavano i bambini, si trasformarono in labirinti di polvere e disperazione. Il cielo si coprì di cenere.

Tra le macerie, una giovane donna, Giulia, cercava il figlioletto. “Luigino! Luigino!” La sua voce fu una lama di dolore in tutta la valle.

I giorni passarono e divennero memoria. Il corpicino di Luigino giace ora in una piccola tomba, accanto ad altre di soldati morti al fronte.

Il paese ha ripreso la vita semplice di tutti i giorni, fatta di lavoro, sacrificio e gioie inaspettate.

Giulia vive nel ricordo, dentro di sé forse non aspetta altro di morire e raggiungere Luigino in cielo.

Il suo amore di madre oltraggiato dalla guerra è per tutti noi una ferita, una storia vera che non dà pace. Ognuno la tiene nascosta in sé, in un segreto condiviso.

Roberto Filippini, ingegnere meccanico, di norma scrive rapporti di carattere tecnico-industriale. Sportivo, pratica il kite surf sul lago di Como. Prima o poi ne scriverà un racconto

Selezione di racconti da XI Concorso “Il Corto letterario e l’illustrazione”, NARRATIVA (Scrivere il corto) SEZIONE RACCONTI DI GUERRA E DI PACE ( Sezione dedicata a Maniglio Botti)

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di Paolo Crugnola

Fallita l’avanzata delle truppe ucraine, persiste la guerra fra Russia e Ucraina. Oscurato dal conflitto israelo-palestinese, quello in Ucraina sembrerebbe in una fase di stallo. In realtà si continua a combattere e a morire.

Al di là di una risoluzione sul campo, che al momento parrebbe possibile solo con una netta vittoria delle truppe dell’Armata Rossa e la resa incondizionata da parte dell’Ucraina, alcuni analisti, con l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, intravedono un potenziale cambiamento di scenario in un’ipotetica vittoria di Donald Trump.

La situazione in Ucraina è complessa e sfaccettata, e ogni prospettiva di risoluzione richiede un’analisi equilibrata e multidimensionale. Di certo l’elezione di uno piuttosto dell’altro candidato alla presidenza negli Stati Uniti introdurrà dinamiche significative nella politica estera americana, e quindi possibili ripercussioni sulla crisi Russia-Ucraina.

Con una vittoria di Biden e dei democratici è difficile vedere un cambiamento radicale, mentre Donald Trump in questo scenario apparirebbe come “l’uomo della pace”, in grado di interrompere la sequenza di morti fra migliaia di giovani soldati russi e ucraini, e ancor più di civili.

 Il biondo presidente, secondo la visione di una stampa alternativa che naviga in prevalenza nel web, parrebbe in grado di promuovere un tavolo di trattative.

Durante il suo primo mandato, Donald Trump ha adottato un approccio alla politica estera notevolmente diverso dai suoi predecessori. La tendenza al dialogo diretto con leader come Vladimir Putin ha sollevato interrogativi, ma anche speranze di nuove vie diplomatiche. Alcuni ritengono che la sua propensione a evitare interventi militari diretti e a favorire accordi bilaterali potrebbe creare un contesto favorevole per rinnovati negoziati tra Russia e Ucraina.

Inoltre, l’approccio “America First” di Trump ha spesso portato a una riduzione degli impegni internazionali degli Stati Uniti, una politica che potrebbe, paradossalmente, ridurre le tensioni in alcune aree geopolitiche. Una minore pressione diretta da parte degli Stati Uniti potrebbe incoraggiare le parti in conflitto a cercare soluzioni regionali, magari con il coinvolgimento di altre potenze europee o internazionali. Da considerare però anche le criticità di tale prospettiva. Il periodo di presidenza di Trump non è stato privo di controversie, e le sue politiche hanno spesso polarizzato l’opinione pubblica internazionale. Inoltre, la dinamica del conflitto Russia-Ucraina è profondamente radicata in questioni storiche, etniche e territoriali, e non può essere ridotta unicamente a una questione di diplomazia internazionale.

Il mantra “Trump uguale a guerre zero” può davvero ritrovare conferma nei prossimi anni? La complessa posizione geopolitica è diversa, molto più intricata di quando il presidente dalla lunga cravatta alla moda era l’uomo più potente al mondo. L’ipotesi che una sua rielezione possa portare a una risoluzione del conflitto Russia-Ucraina è intrigante, ma è necessario affrontarla con cautela e un’attenta analisi. La diplomazia internazionale è un terreno complesso, dove le personalità dei leader possono influenzare gli eventi, ma non determinarli completamente. Al momento, per chi non vorrebbe più sentire notizie di guerra e di morte, è possibile sperare in un’ipotesi più realistica?

Paolo Crugnola. Amante e studioso di filosofia, unisce la teoria alla pratica nel lavoro manuale come artista del legno e batterista.

Selezione di articoli da XI Concorso “Il Corto letterario e l’illustrazione”, GIORNALISMO ( Sezione dedicata a Pierfausto Vedani)


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