“Peggio di così non poteva andare” disse il capobarca sistemandosi sullo scoglio per riprendere fiato, aveva perso tutto: la barca e la merce. Anni di fatiche per crearsi un piccolo benessere, era sparito in quella strana notte, gli era rimasta la vita, ma in quel momento non sapeva se esserne contento o meno. Dopo essersi accostati alla motonave, trasbordato il carico e pagato la merce, un’operazione facilitata dal mare calmo, avevano ripreso la via del ritorno. Erano a poche miglia dalla costa, il faro ben visibile, erano in tre, tutti esperti di quel tratto di costa insidiosa, ma era successo qualcosa che aveva sconvolto i loro piani.
Erano certi che fosse andato tutto bene, poi, all’improvviso, le onde presero ad arricciarsi, i mulinelli a gonfiarsi, la corrente diventò quasi una tromba marina, sollevò la barca nel vortice e la scagliò sopra quelle schegge di rocce conficcate in mare che conoscevano ed evitavano sempre con cura: la barca fu tagliata a metà, il carico scivolò in mare e loro nuotarono nell’acqua gelida per salvarsi la vita.
Il mare non è mai buono, prima o poi te la fa, per quello ora erano lì, su quello sperone di roccia a due miglia dal faro e quattro dalla costa, la stessa roccia che a fine Ottocento era stata scelta per costruirvi il faro, e dopo una mareggiata che aveva affondato la nave e ucciso gli operai addetti alla costruzione, il progetto fu abbandonato e chiamarono quella zona “punta maledetta”. Erano in buone condizioni. Qualche ammaccatura, ma non avevano subito danni. La marea stava scendendo e metteva a nudo le punte delle rocce emergenti, fra quelle videro qualche oggetto sbalzato fuori dalla barca, li recuperarono, potevano servire.
La luna piena li guidava, li raggiunsero e li portarono su quella che era stata la base abbandonata del faro: bottiglie con lacqua, scatole galleggianti sparsi qua e là. Poi si stesero sulla piattaforma immersi nei propri pensieri. Era la terza volta che caricavano merce di contrabbando, una vita da persone oneste fino a quando erano stati tentati e si erano detti “perché no?”, molti lo fanno, facciamolo anche noi. Era andata male. Come tornare a terra? Ondate lunghe si precipitavano sugli scogli. La marea stava salendo e il linguaggio del mare si faceva più possente e fragoroso. Pensarono alle famiglie, agli amici, come giustificare quel naufragio? Non c’era un motivo per trovarsi in mare di notte in quella zona. Tutti avrebbero capito che avevano fatto del contrabbando, la vergogna li travolse.
Il rumore di un elicottero li svegliò, il sole era già alto, sventolarono le magliette, furono visti, gli fecero cenno che sarebbero tornati a prenderli. Giurarono di non parlare del carico, era in fondo al mare, avevano pagato per la loro stupidità, avrebbero detto che erano usciti a pescare, improbabile ma non impossibile.
Erano vivi, ripartivano da zero, la vita continuava.

di Elda Caspani

Il racconto del giorno feriale (dagli autori della nostra scuola di scrittura SCRIVERE IL CORTO)


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Lisa è una bambina curiosa, sempre intenta a fare qualcosa. Quel giorno si stava annoiando, era irrequieta. Decisi di portarla al parco per distrarla.
Abitavamo a metà collina e in basso, oltre la piazza, c’era il parco. Scendevamo chiacchierando, poi Lisa si divincolò e prese a correre. Era felice, non c’era in giro nessuno, non c’erano pericoli.
All’improvviso tutto cambiò: giù nella piazza un’auto l’attraversò veloce sgommando inseguita da due auto dei carabinieri.
Dissi a Lisa: “fermati”. Ma lei si girò e impertinente, da monella qual era, fece con le mani uno sberleffo. Le auto si fermarono con uno stridio di freni e dall’auto scese velocissimo un uomo e cominciò a correre verso di noi per sfuggire agli inseguitori. Dietro i carabinieri presero a rincorrerlo.
L’intenzione dell’uomo parve subito evidente: raggiungere la bambina e prenderla in ostaggio, lei andava spensierata nella sua direzione. Urlai con voce autoritaria “Lisa fermati”. Si fermò, si voltò, mi guardò incerta, quella voce non la conosceva e la mia faccia era terribile, non sorridevo più.
L’uomo continuava a correre e anche i carabinieri, ma la strada in salita rendeva più arduo il farlo.
Accelerai il passo per raggiungere mia figlia: parve che tutto si svolgesse al rallentatore. Rividi il giorno in cui nacque, un parto difficile che per poco non mi uccise, allora avevo temuto sarebbe cresciuta senza di me; mio marito era alla ricerca disperata di una medicina speciale per far cessare l’emorragia e giunse poi in elicottero; la lunga convalescenza, ora poteva finire tutto, Lisa presa in ostaggio dal delinquente, cosa le sarebbe accaduto, l’avrebbe portata via, l’avrebbe uccisa?
Scendevo con un passo veloce cercando di non spaventarla, Lisa era ferma, mi guardò, intuì che qualcosa stava accadendo, decise di tornare da me.
L’uomo aveva rallentato l’andatura, la salita era ripida. Dietro di lui il maresciallo tolse dalla fondina la pistola e gli ordinò di fermarsi.
Meno di dieci metri lo separavano da Lisa.
L’uomo si guardò attorno in cerca di una nuova via di fuga, la salita, più erta, gli impediva di accelerare la corsa, si fermò.
Raggiunsi mia figlia e la strinsi a me.
Il maresciallo pallidissimo, grondante sudore e paura, acciuffò l’uomo, e mentre lo ammanettava ci guardammo negli occhi per un istante lungo una vita e ci dicemmo tutto quello che le parole non avrebbero potuto dire. Mi fece un cenno di saluto.
Baciai Lisa, mentre tremante sentivo che le gambe faticavano a sorreggermi.
L’uomo disse qualcosa di offensivo ridendo sguaiatamente, poi sparì circondato dagli agenti.

di Elda Caspani, illustrazione di Giorgio Carro

Il racconto del giorno feriale (dagli autori della nostra scuola di scrittura SCRIVERE IL CORTO)