Di Giulia Carloni

Ero nel paese dove tutto era finito e dove avevo sognato di costruire la mia vita. Ero solo nella stanza che sapeva di polvere e di muffa. Dondolavo sulla sedia scricchiolante e in mano avevo il bicchiere di bourbon. C’era il camino tenuto acceso dall’ultimo pezzo di legna.

Me ne stavo andando perché poco era rimasto per me. Dovevo dire addio e a me gli addii non sono mai piaciuti. Da quando sono arrivato a Varese tante cose sono cambiate. La stanza nella palazzina novecentesca mi ricorda casa di mia nonna, con la carta da parati a fiori e un parquet scheggiato. «Di buon gusto», direbbe Agata con una risata, ironica. Ha girato quasi tutto il mondo. Le appartiene il senso del bello e della scoperta. È l’anima della festa.

A me, invece, piace la routine; le abitudini mi fanno stare comodo in un luogo e le persone non sono sempre necessarie. Amo la persona che ora è lontana da me, che odora di bruciato e di rosmarino. Agata è morta con le margherite nella mano sinistra e l’ombrello nella destra. Odio gli ombrelli, le strade trafficate e la pioggia. Odio quando le goccioline entrano nella giacca e ti scivolano sulla schiena come piccole gocce di pianto. Da quel giorno indosso un cappotto impermeabile e arrivo in ufficio zuppo di umidità. Non mi importa perché lei non c’è.

Le lacrime che verso hanno il gusto amaro del rimorso e della solitudine. Di qualcosa che ho perso per sempre. Detesto i “per sempre” ma in questo caso non c’è modo migliore per descriverlo. Indosso il trucco della persona in grado di sopravvivere, di scomparire, di iniziare da capo. Le lacrime sciolgono la maschera durante le notti di quiete, di sgambetti emotivi e di dolore.

Verso il the nella tazza e Varese è baciata dal sole primaverile. Sono arrivato per dimenticare, per costruire da capo, per rimediare agli errori del “per sempre” e del “mai”. E ora che i miei piedi calpestano l’acciottolato dei Giardini Estensi, scopro che sul viso si è fermata la voglia di sognare.

Nell’orecchio un farfugliare giocoso di momenti che urlano, che mi chiamano. Agata è la parte di me che non mi guarderà più, eppure che resterà sotto la pelle, nel sangue, nel midollo osseo di questa mia esistenza.

Gli addii non mi piacciono, talvolta hanno il colore del sollievo, altre di tormento. Salgo con i piedi pesanti le scale, i sentieri, tra i carpini, con le mani in tasca. Mi siedo su una tiepida panchina, con una luce timida sul viso. Sono pronto a provare la sensazione del lasciare andare, del ricominciare. E una lacrima sul viso mi dona il coraggio di dire addio.

Giulia Carloni. Classe 1990, crede nei diritti di partecipazione, di esistenza e di felicità. Nel 2022 ha pubblicato un libro, “Un mondo a colori”, edito da Porto Seguro Editore. Lavora come educatrice con Coop Lotta Contro l’Emarginazione.

Selezione di racconti da XI Concorso “Il Corto letterario e l’illustrazione”, NARRATIVA (Scrivere il corto) RACCONTI D’AMORE ( Sezione dedicata a Maniglio Botti)

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