Il divano avvolgente e la cioccolata calda rendono la domenica di pioggia e studio più sopportabile. Mio nonno si siede accanto a me: La Costituzione della Repubblica Italiana, che letture impegnative, in questa allegra giornata.
Mi prende in giro, sa che preparo l’esame di diritto costituzionale.
Guarda il punto in cui sono arrivata, e legge: art. 12, La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni, questi sono i colori sotto i quali ci riconosciamo.
Sai Laura, sono stato in Tripolitania, mangiavamo bucce di patate, notti all’addiaccio, dormivamo nell’acqua e al mattino sull’attenti per salutare il tricolore. Eravamo ragazzi, fieri della nostra patria, della bandiera, di quella divisa, e pronti a morire per difenderla. Eravamo soldati.
Un fiume di ricordi trasforma un pomeriggio di studio su carta in studio su vita, e non è nostalgia: mi trasmette fierezza, orgoglio di essere italiana. In casa mia c’è il tricolore, non in altre case, e questo mi rattrista. Quest’anno sono stata a New York e la Stars and Strips (stelle e strisce), la bandiera americana, sventola in ogni dove. Perché da noi no?
Laura per avere la luce, la speranza, dovete ricominciare a combattere per i nostri colori con passione, purezza di spirito. E sarà dura, il nemico è la dimenticanza, l’ignoranza, non conoscenza di ciò che è stato. Non scordiamo cosa significa “fonderci insieme”. Lo cantiamo con la seconda strofa dell’inno di Mameli. La rammenti vero? Te l’ho insegnata quando avevi cinque anni, forse eri troppo piccola.Poi l’hai, l’avete cantata a scuola, solo una parte, però l’avete fatto, in quinta elementare avevate il grembiulino blu e il nastro tricolore. È questa la strada giusta da percorrere per raccoglierci sotto un’unica bandiera, a voi ragazzi il compito di trasformare in certezza la speranza di tornare a essere un popolo.
I colori sono diversi, distinti, ma legati insieme: il verde, il bianco e il rosso. Al mattino alziamoci e salutiamo la bandiera, il nostro tricolore.
Nonno, non è facile combattere contro l’ignoranza, nel senso di non conoscere, come si può fare?
Non arrenderti, canta l’inno in piedi, metti la mano sul cuore e vedrai che altri ti seguiranno.
Vedrai che riuscirai.
Grazie nonno, finché ci saranno persone come te e ci aiuteranno,tutto sarà più semplice. Mi alzo e l’abbraccio. Ritorno al mio libro di costituzionale, nelle orecchie l’inno nazionale e quella seconda strofa che nessuno ricorda.
Sono passati molti anni da allora, e il tricolore a casa mia continua a sventolare. Tutte le mattine il pensiero va a mio nonno, che non c’è più, e al suo insegnamento. Porto la mano al cuore.

Racconto di Laura De Filippo

Il racconto del giorno feriale (dagli autori della nostra scuola di scrittura SCRIVERE IL CORTO)


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“Nonna perché le finestre di quella casetta sono sempre chiuse?” Sara è una ragazzina di tredici anni, molto curiosa. Seduta accanto alla sua dolce nonnina guarda in fondo alla strada. Le nubi grigie di un temporale in arrivo non le permettono di andare in cortile a giocare.
“Sai, in quella casetta viveva una bambina, ora non c’è più nessuno”.
“E perché?” l’innocente curiosità incalza.
Sara si siede in braccio alla nonna per ascoltare il racconto. “Una mattina quella bambina aprì una di quelle finestre, vide le nubi da temporale, come quelle di oggi, e la richiuse. A mezzogiorno erano ancora chiuse. Era molto strano perché la mamma si alzava sempre presto. Io e il nonno abitavamo già in questa casa, mi preoccupai e andai a controllare. Venne ad aprire la piccola, era sporca di sangue, non diceva niente. Entrai e le chiesi cos’era successo, mi prese per mano e mi portò in camera. La scena che vidi era un orrore. Sangue ovunque e i suoi genitori nel letto, morti. Chiamai la polizia, mi fecero molte domande, raccontai quello che sapevo, la mia preoccupazione per le finestre chiuse e come si era presentata la piccola alla porta. La bambina non parlava, lo shock fu tale che rimase muta per molti mesi. Fu affidata a una coppia di sposini, le diedero tanto amore e l’aiuto di cui aveva bisogno. La polizia continuò le indagini, tutti i giorni erano in quella casa per fare rilievi. Trovarono solo lenzuola sporche in modo strano. La piccola era seguita da una psicologa che sperimentò varie terapie, senza successo. Infine tentò con l’ipnosi. Le fece rivivere quella notte e stavolta riuscì. Aveva visto e rimosso tutto. Lo zio Adam, il fratello della mamma, aveva problemi di mente, quella sera era agitato in modo particolare. Aveva rinchiuso in camera da letto i genitori della piccola, picchiati a morte con un bastone e l’aveva obbligata a guardare. Poi li aveva stesi sul letto facendosi aiutare dalla bambina. Le lenzuola erano rimaste candide, tranne dove appoggiavano i corpi. Fece sedere la piccola e le vietò di muoversi, minacciandola di farle lo stesso, lui era in cucina e la vedeva…. “.
“Nonna come sta adesso quella bambina?” Sara era stufa di ascoltare, voleva arrivare alla fine. In quel momento entra la mamma di Sara che le corre incontro per abbracciarla e darle un bacio. “Allora nonna continua, come sta?” Insiste Sara.
La nonna sorride: “Tu che ne dici? La stai abbracciando…”

di Laura De Filippo, illustrazione di Letizia Ghirotto

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Ai funerali della signora Agata c’era una gran folla, era molto amata. La nipote, Rosa, non riusciva a darsi pace, l’aveva trovata lei, era caduta dal balcone. Forse, si era sporta troppo per ammirare la sua adorata luna rosa. Il plenilunio che preannuncia la primavera era la passione della nonna, infatti il suo nome, quello della nipote, derivava proprio da quella luna.
Ogni anno al suo arrivo, la nonna si posizionava sul balcone con la sedia a dondolo per ammirarla e parlarle. Diceva che era il suo spirito guida, le aveva mostrato la strada del ritorno, quando, da giovane, si era persa nel parco di Yellowstone.
La casa della nonna piena di ricordi, Rosa si sedette sulla sedia a dondolo a guardare le foto della giovane Agata. Ricordava i pomeriggi trascorsi insieme, gli aneddoti per ogni singola foto. Non riusciva a trattenere le lacrime, si lasciò andare a un pianto disperato. Aspettava che la nonna andasse a consolarla, ma questo non era più possibile. Neanche suo cugino Mario, spesso erano dalla nonna insieme, si era fatto vedere. Dopo essersi asciugata gli occhi si alzò per ritornare nel suo appartamento, notò che il vaso dei fiori era spostato. Impossibile che l’avesse fatto sua nonna, era troppo pesante e poi ogni oggetto doveva essere in un posto ben preciso. Su questo era categorica, infatti le diceva “ogni cosa al suo posto e ogni posto ha solo una cosa”. Si guardò intorno e vide altri oggetti spostati. Cominciò a sospettare che la caduta fosse stata causata. Ne ebbe la certezza quando trovò i cassetti della scrivania semiaperti.
Corse dai carabinieri e raccontò tutto, anche dell’enorme fortuna che di lì a pochi giorni la famiglia avrebbe ereditato. La nonna aveva accumulato un gran patrimonio.
I carabinieri fecero molte domande ai vicini senza aver risposta. Il signor Franchi, un amico di bridge della nonna, fece vedere un video, anche lui adorava la luna rosa e l’aveva ripresa con il cellulare, le immagini erano sfocate, aveva puntato solo sulla luna luminosa. L’analisi della scientifica invece mostrò una persona sul balcone. Con ulteriori miglioramenti del filmato si vide l’assassino, il cugino di Rosa, Mario.
Aveva problemi con il gioco d’azzardo e continuava a chiedere i soldi alla nonna. Anche quella sera, e per l’ennesima volta ricevette un rifiuto. In un attimo d’ira la spinse giù dal balcone mentre si sporgeva a guardare la luna. Nel filmato si vede lei che cerca di farlo ragionare, lui sembra calmarsi, poi lo accarezza e si appoggia alla ringhiera, gli indica la luna, lui si avvicina e la spinge. Poi corre avanti e indietro, sparisce in casa. Si vede l’ombra muoversi con frenesia. Qualche minuto dopo è fuori in cortile, va dalla nonna, si accorge che è morta e scappa via.
La luna rosa, ancora una volta, ha aiutato nonna Agata.

di Laura De Filippo

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…luci, un filo di led appuntati su un telo nero. Se le guardi accese dall’altro lato del telo, vedi un cielo illuminato di stelle… il consiglio del nostro regista per la scenografia. La riunione della mia compagnia teatrale era convocata per il venerdì sera che precedeva la prova generale dello spettacolo. Mancavano gli ultimi dettagli: gli accessori, i giochi di luci.
Speravamo in un incontro breve per poi andare a ballare. La scena madre dell’opera era ambientata nel bosco. Sotto le stelle, tra gli alberi.
Arrivai a teatro, era tutto spento tranne l’occhio di bue, il faro segui-persona, che illuminava il centro del palco. Due attori accasciati uno accanto all’altro, pensai che stessero provando. Non feci rumore, non li salutai nemmeno. Mi sedetti in prima fila e aspettai.
Sul palco: il cielo illuminato, gli alberi distanziati per lasciare la possibilità ai ballerini di muoversi. I due erano immobili. Mi alzai in piedi. Occhi spalancati verso quel cielo scenografico. Si tenevano per mano. Dustin, il protagonista della storia, con una mano stringeva quella di Carol, con l’altra una stella filante turchese, così sembrava. Entrò Jacob, il regista: “Ciao a tutti. Forza decidiamo in fretta, e andiamo a ballare.” Poi, osservando il palcoscenico, si bloccò estasiato: “Che meraviglia! Il cielo sembra vero. Un bravo agli scenografi.” E batté le mani.
Intanto io ero salita sul palco. Non so come mi controllai. La scena non era finta. Il cielo che si vedeva non era da palco, il retro del teatro era crollato. Quelle stelle erano vere. Il bosco era vero. Anche Dustin e Carol, nella loro immobilità, erano veri, con un buco in mezzo alla fronte e il sangue che era colato di fianco. Da sotto non si capiva. La striscia di carta in mano a Dustin era un pezzo di stoffa turchese.
Jacob chiamò la polizia e dopo pochi minuti arrivarono quattro agenti in divisa con un uomo in manette. Era Michael, il nostro costumista, attore mancato, la sua giacca turchese era strappata. Capii tutto. Mi avventai contro di lui, fui bloccata da un agente. Perché? Perché? Michael si tirò dritto con il busto, alzò il mento con sfrontatezza: “Io sono la stella di questo spettacolo, non loro.” Sogghignò, guardò i due corpi con disprezzo, e a voce alta declamò: “Ora si accontenteranno di guardarle le stelle. L’unica che brilla qui dentro sono IO!”.
La polizia lo aveva fermato per un controllo ordinario, aveva notato la giacca strappata e lo sguardo allucinato. Gli avevano chiesto spiegazioni e lui si era messo a recitare.

di Laura De Filippo, illustrazione di Letizia Ghirotto

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Lo zoo è il parco preferito da Tony, mio figlio, ha dieci anni, oggi festeggiamo il suo compleanno con la giornata degli animali. Ogni anno visitiamo uno zoo diverso, questo è il terzo. Ha deciso che da grande farà il veterinario, vuole curare tutti gli animali feriti. La giornata è ideale: sole, cielo terso e leggera brezza.
Camminiamo lungo un sentiero che, secondo la mappa, ci porterà al lago degli ippopotami. E’ la prima volta che li vediamo. Ci raggiungono due ragazzi che corrono spaventati e urlano che è scappata la tigre e ha sbranato un custode. Corriamo anche noi verso l’uscita, mi preoccupo per Tony. Sbagliamo strada e arriviamo di fronte alla gabbia vuota. La situazione è spettrale, il corpo di un custode dello zoo giace martoriato, quello della tigre è poco distante, abbattuto da un sonnifero sparato da un altro custode che al nostro arrivo sussulta, punta contro il fucile e intima di girare al largo. Ha lo sguardo fisso su un’ascia per terra accanto alla gabbia. Non sanno se è scappata qualche altra belva. Andiamo in un capanno lì vicino e chiudiamo le porte, con noi ci sono i gestori e altri visitatori spaventati. Dopo due ore arriva la buona notizia, possiamo uscire dallo zoo e tornare a casa. Recuperiamo i nostri zaini, ripassiamo davanti alla gabbia della tigre e Tony mi dice… Guarda mamma, c’è una lente di ingrandimento su quell’albero, per cui avviso subito un responsabile.
Fuori dello zoo decidiamo di fermarci in una pizzeria, è stata una giornata pesante, partita per esplorare un parco e finita con il morto. Tony è molto eccitato, non vede l’ora di raccontare tutto ai compagni di scuola, invece io non vedo l’ora di andare a dormire. Il giorno dopo leggo sul Corriere che un custode dello zoo ha confessato l’omicidio. Il resoconto è dettagliato perché lo ha raccontato lui stesso. Ha legato un’ascia a un filo di paglia sopra la gabbia, poi ha posizionato una lente di ingrandimento su un ramo alto della quercia accanto. Ha aspettato mezzogiorno, nascosto fra le fronde dell’albero. A quell’ora il sole è alla massima altezza, il suo raggio attraverso la lente ha bruciato il filo di paglia a cui era legata l’ascia che ha tagliato la corda che assicurava la chiusura della gabbia della tigre. Il collega non ha neanche sentito avvicinarsi l’animale, ed è stato azzannato. Voleva ucciderlo perché era l’amante della moglie, e aveva studiato per mesi la posizione del sole. Un delitto perfetto.
Quando è tornato a casa ha trovato un biglietto della moglie che era scappata con un altro uomo.

di Laura De Filippo

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