di Laura Fornaroli

Con la Pandemia, le mascherine chirurgiche sono diventate obbligatorie. Con il volto parzialmente nascosto, la cinetica facciale non ha avuto modo di manifestarsi appieno. La socialità è divenuta problematica e la perdita di una parte dell’informazione ha avuto pesanti ricadute sull’interazione umana. Le barriere comunicative imposte dalle mascherine hanno portato il mondo a riflettere su metodi alternativi di espressione, come la valorizzazione di forme di comunicazione non verbale, e per ciascuno di noi è stato inevitabile diventare attore e guidare le conversazioni anche attraverso lo sguardo. Con questo mezzo, muovendo le sopracciglia e facendo vibrare le palpebre, ognuno ha affinato una certa sensibilità nel percepire l’altro, presagendo il consenso oppure la disapprovazione. Abbiamo testato a caro prezzo quanto sia complesso di punto in bianco spogliarsi di abitudini consolidate e ricodificare la vita in modo non convenzionale. Questa comunicazione filtrata ha messo in dubbio le nostre competenze, ma in particolare il grado di flessibilità e predisposizione al cambiamento di ciascuno. Nessuno è uscito indenne dalla Pandemia, eppure è bene ricordare che il termine “crisi” trova la sua etimologia nel verbo greco krìno, che significa distinguere con giudizio e che rimanda all’idea di scelta ponderata. Esso viene utilizzato da Erodoto, padre della storiografia, per indicare dapprima la mondatura del grano, in seguito la ciclica variabilità di un assetto politico. Di rado capita che parole così potenti si ritrovino ad essere tanto ben allocate nella nostra lingua: dal canto nostro, ciò che abbiamo potuto fare di fronte ad un evento tanto sconvolgente ed inatteso è stato ripulire il termine dal connotato pessimista che si concentra sulla paura. In tempi di Coronavirus, la crisi ci ha portati ad accettare la sfida di una più concreta capacità previsionale nel tentativo di cogliere la direzione del mutamento. Se tuttavia, guardare con benevolenza il prossimo orientando le informazioni veicolate è parte di una felice relazione umana ed un’ esperienza comunicativa che sospende il giudizio imparando a sostare in brevi silenzi, vero è che improvvisamente ci siamo trovati nella condizione di imparare come guardare il prossimo: qui lo sguardo si è rivelato lo strumento cardine per creare empatia, laddove chi fornisce informazioni si pone nell’atteggiamento di coinvolgere l’altro attraverso un messaggio in cui egli stesso è portato a immedesimarsi. Non è un caso che l’Organizzazione Mondiale della Sanità abbia deciso di consacrare l’empatia a porta di accesso al conseguimento del benessere collettivo. Essa influenza i comportamenti e gli stili di vita, condiziona numerose abilità sociali, ad esempio l’inclinazione a risolvere controversie all’interno di un gruppo. E se è provato che, attraverso il sistema dei neuroni a specchio, noi sappiamo ciò che gli altri fanno, c’è motivo di credere che il nostro agire sia in grado di attivare negli altri un meccanismo simile e reciproco. L’empatia diventa dunque il primo passo nella scelta della via dialogica, nel senso che mettersi nei panni di qualcuno e assumerne la prospettiva significa di fatto posizionarsi sullo stesso asse emotivo. Lo sguardo consapevole verso il prossimo è una lente da pulire ogni giorno e va rieducato a cogliere l’oltre che si cela dietro ogni dinamica. Se non ti liberi da immagini preconfezionate e non ti interroghi se il tuo modo di osservare le dinamiche dell’altro sia uno tra i possibili, dimostri di essere più centrato sull’essere visto che sul voler vedere.

Laura Fornaroli. Pubblica Funzionaria e docente free lance di italiano per stranieri, scrive per passione per una rivista che si occupa di diritto amministrativo e per un trimestrale di educazione e cultura.  Nel tempo libero viaggia e compone poesie.

Selezione di articoli da XI Concorso “Il Corto letterario e l’illustrazione”, GIORNALISMO ( Sezione dedicata a Pierfausto Vedani)


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