CINEMA E SCRITTURA, chi è nato prima?

Il cinema lo cito spesso. Qualcuno suggerisce di immaginare, scrivendo, le proprie pagine come se si vedessero sullo schermo. Bene. Molto bene.

Ci esprimiamo con parole, e le parole diventano immagini. A volte sono scenette da rappresentazioni amatoriali, ma in esse a ben guardare c’è la ricerca iniziale d’immagini forti, ben visibili. Esagero: epiche.

C’è ancora oggi qualcuno che si ostina a non considerare il cinema un’arte. Qualcun altro, al contrario, lo definisce la più autentica delle arti, perché moderna. Unisce il lavoro di molti, dal fotografo al costumista, dallo sceneggiatore al regista. Un lavoro d’equipe.

Condivido l’idea di uno scrittore che nella scrittura vede tutte le altre arti, dalla musica all’architettura, dalla poesia alla scultura. E il cinema nasce dalla scrittura. La mancanza di autori e di sceneggiatori si riflette nella sua crisi.

continua il 13 luglio

Abramo Vane, giornalista e scrittore, insegna alla Scuola di Scittura delle Edizioni IL CAVEDIO. Ha pubblicato libri di narrativa, d’arte, di poesia.

IL CAVEDIO associazione culturale e sportiva dilettantistica APS ———————————————– segreteria1997@ilcavedio.org

di Sabrina Colombo

Da qualche anno mi racconti di te, di quanto tu sia infelice e delusa.

Hai condiviso le tue emozioni in una primitiva rabbia ma poi sei sempre tornata la donna piena di attenzioni che un tempo mi teneva tra le mani e che, con un piccolo gesto d’amore, mi ha fatto fiorire.

Mi hai curato e potato con immenso rispetto. Sapevi sempre quale era la cosa giusta da fare fino a trasformarmi, con una fitta chioma, in un bellissimo faggio.

Nei lunghi anni passati insieme mi abbracciavi ed io, con movimento impercettibile, mi muovevo nell’aria per avvicinarmi a te con ogni piccola frasca.

Meditavamo insieme e mentre sentivi la musica delle foglie mi sussurravi che ero il tuo maestro. Il tuo respiro è diventato il mio e nel mio c’era il respiro della vita.

Un rumore assordante mi fa sussultare e sento svanire il leggero ed universale filo di unione tra me e gli altri alberi del bosco.

Non posso più tenerti all’ombra dei miei rami perché sono stato abbattuto da chi pensa di averne il diritto.

Ora non sono altro che un foglio di carta, dedicami ancora le tue più intime emozioni e magari scrivi una lettera d’amore, per me.

Sabrina Colombo ama stare nella natura, osservarne i dettagli e ascoltare il suo silenzio. Disegna e dipinge ma le sue passioni più grandi sono la cucina e la fotografia.

Selezione di racconti da XI Concorso “Il Corto letterario e l’illustrazione”, NARRATIVA (Scrivere il corto) RACCONTI D’AMORE ( Sezione dedicata a Maniglio Botti)

IL CAVEDIO associazione culturale e sportiva dilettantistica APS ———————————————– segreteria1997@ilcavedio.org

PENSIERO UNICO, non ci appartiene

Oggi lo chiamano mainstream. In questi ultimi tempi ha avuto grande successo.

Pandemia e guerra in Ucraina hanno contribuito a un suo quasi incontrastato dominio.

Non entro in merito agli argomenti. Non voglio discutere sui lockdown e sugli effetti dei vaccini, né sulla guerra e l’invio di armi. Quello che difendo è che ogni medico, addetto ai lavori, scienziato che sia possa esprimersi in libertà su fatti di medicina, così come ogni storico e giornalista possa dare la propria versione su avvenimenti di attualità.

Su come scrivere un romanzo ognuno dice la sua. Nelle pagine scritte abbiamo cercato noi stessi, ci siamo formati grazie a quei fogli bianchi. L’entusiasmo di vivere li ha riempiti di parole che sono nostre. Tanti uomini hanno combattuto per la libertà, tanti sono morti. La libertà non è un regalo. Se rinunciamo al pensiero non condizionato, mettiamo a rischio la nostra vita.

Qualcuno si prenderà il diritto di dettare le leggi della scrittura, di dire questo è bene e questo è male, ma noi abbiamo il dovere di dire la nostra, di difendere la libertà. Di combattere.

continua il 22 giugno

Abramo Vane, giornalista e scrittore, insegna alla Scuola di Scittura delle Edizioni IL CAVEDIO. Ha pubblicato libri di narrativa, d’arte, di poesia.

IL CAVEDIO associazione culturale e sportiva dilettantistica APS ———————————————– segreteria1997@ilcavedio.org

di Carlo Battaglini

Prima dell’alba il cielo si capovolse; poche stelle vi palpitavano, liberate di tanto in tanto da nuvole invisibili. Il soldato Rudy le guardò attraverso la pioggia di polvere, e le vide lontane, sconosciute. Non aveva mai guardato davvero il cielo, non aveva mai avuto bisogno di sperare in qualcosa. E ora aveva fallito: per la prima volta non si era accorto di una mina, forse perché pensava a lei.

Lei.

Lei era salva; per la prima volta Rudy si era ribellato al comandante Rugoj che voleva mandarla a esplorare il campo minato sulla strada del plotone sovietico diretto verso l’Hindu Kush Afgano, dove stavano le statue del Buddha di Bamiyan.

“Sono la nostra storia…” aveva detto Rugoj parlandone.

La nostra storia.

No. La storia di Rudy era l’essere stanco di quel cerchio vizioso di guerra eterna che lo riportava sempre sopra un campo minato, sempre più stanco, più vecchio, più ignaro del futuro, almeno fino a quando lei gli aveva rivelato di avere in grembo i suoi figli. Il suo futuro. Il loro segreto.

Rugoj guardò Rudy rantolare. Non sapeva se fosse più scosso dalla sua morte o dalla sua prima disubbidienza. Era come se Rudy avesse avuto una premonizione e si fosse sacrificato per Laika. Ma perché? Rugoj li aveva addestrati a non provare emozioni, né soprattutto sentimenti. E ora scopriva che nessuno, neanche lui, l’inflessibile capitano Rugoj, ne era immune. Ripensò a Rudy quando era un cucciolo, e a quando divenne il migliore del gruppo cinofilo di sminamento. Tornò a guardare la piantagione di morte che andava illuminandosi, e la vide sfocata. Ebbe un attimo di distrazione, e Laika ne approfittò per sfuggirgli, per correre verso Rudy. E Rugoj capì. E non fece nulla se non rivolgere gli occhi al cielo, dove le stelle avevano lasciato il posto a scie rosse, come se anche il sole fosse perito di morte violenta.

Sul campo minato, ormai vicina a Rudy, Laika venne presa dal panico: anche la distanza più breve è un viaggio se ogni millimetro corrisponde a un respiro. Lanciò un ululato disperato, di terrore indomabile. La paura di perdere i figli vinceva sul desiderio di toccarne il padre.

“Non piangere amore mio,” mugolò Rudy. Non voleva andarsene con quel guaito nelle orecchie.

Non piangere.

Aveva bisogno del silenzio, per sperare: i suoi figli avrebbero dovuto guardare le stelle, sapere che possono caderti addosso come fiocchi di neve, una dopo l’altra, insieme ai ricordi e alle speranze.

Non dovevano morire come lui. Non avrebbero mai dovuto vedere il cielo capovolgersi.

Carlo Battaglini nasce a Milano il 23 maggio 1960. Si laurea in geologia nel 1985. Lavora in tutta Italia, ma perde la vista nel 2017. Scrive da sempre. Finalista in vari Premi Letterari, ne vince tre. Ha pubblicato racconti, articoli e un romanzo.

Selezione di racconti da XI Concorso “Il Corto letterario e l’illustrazione”, NARRATIVA (Scrivere il corto) RACCONTI DI GUERRA E PACE ( Sezione dedicata a Maniglio Botti)

IL CAVEDIO associazione culturale e sportiva dilettantistica APS ———————————————– segreteria1997@ilcavedio.org

LA FORMAZIONE DELLO SCRITTORE, che siamo qui a fare?

Se la nostra comprensione del mondo non si allarga ogni volta che risolviamo i problemi di scrittura sulla pagina scritta, che siamo qui a fare? Forse perché l’editore Furbacchione ci chieda ogni volta tremila euro vendendoci il più prezioso degli elisir? Vogliamo davvero vivere nell’illusione? In questo caso vi dico subito amici come prima. Non ho argomenti per convincervi del contrario.

Più avanti accenneremo alla novità dell’intelligenza artificiale, al transumanesimo, al meanstream. Argomenti di attualità, di cui parlare. Ho la speranza, in questo capitolo di Extra dry, di dare stimoli alla riflessione. L’obiettivo è la formazione dello scrittore, che per noi coincide con la visione realistica di un mondo nel quale i valori sono quelli che, in quanto valori, restano. 

continua il 15 giugno

Abramo Vane, giornalista e scrittore, insegna alla Scuola di Scittura delle Edizioni IL CAVEDIO. Ha pubblicato libri di narrativa, d’arte, di poesia.


IL CAVEDIO associazione culturale e sportiva dilettantistica APS ———————————————– segreteria1997@ilcavedio.org

Di Fabrizio Tummolillo

Quando voglio parlare con mia figlia vengo qui, alla panchina sotto quest’albero. Mi siedo e attendo che si alzi un po’ di vento. È necessario che si muova l’aria ma basta anche la brezza della sera.So no le foglie a formulare le parole ma è l’aria a portarmele. Credo funzioni in questo modo.

Non è un albero qualsiasi. È un acero di monte. Non lo sapevo, me l’ha detto il mio amico Remo.

Al vivaista avevo chiesto un albero qualunque purché avesse cinque anni d’età. Non sembrava capire la richiesta. Ha fatto storie poi me ne ha mostrato uno. “Questo è nato da seme cinque anni fa”. “Lo compro”.

“Il nome scientifico è “Acer pseudoplatanus” mi ha spiegato Remo. Lui se ne intende. “Trascorrerai le giornate alla sua ombra, fra qualche anno” ha aggiunto. Poi mi ha dato una pacca leggera sulla spalla, come un incoraggiamento. Siamo andati a piantarlo in un campo in fondo alla sua proprietà in collina. Le prime volte passavo da casa ad avvisarlo che venivo da mia figlia. Mi ha detto di non preoccuparmi, di non stare a dirglielo ogni volta.

Tempo dopo ha messo la panchina. È sempre stato un amico. Mia figlia aveva cinque anni. Per questo ho insistito con il vivaista: era nata lo stesso anno dell’albero che volevo comprare.

Le sue ceneri le ho poggiate nella buca, vicino alle radici. Ho ricoperto di terra e Remo ha dato l’acqua.

Basta una brezza leggera e riesco a sentirla. Stasera le sto chiedendo scusa per quella volta che l’ho sgridata fino a farla piangere. Aveva sbriciolato il sigaro lasciato sulla scrivania per dopo cena. “Non pensarci, papà. Non avere rimorsi. Eri stanco, avevi lavorato tutto il giorno”.

Sono passati quindici anni da quando ho piantato l’acero. In questo tempo la sua voce è diventata quella di un’adolescente poi di ragazza poi di una giovane donna.

“Non preoccuparti. Davvero. Ti voglio bene, papà”. “Anch’io”. Oggi con le sue parole il vento ha portato un seme. Sembrava una piccola elica, è sceso ruotando su se stesso. “È la samara, il frutto dell’acero di monte – ha detto Remo quando gliel’ho mostrato -. Ognuna contiene due semi. La forma permette al vento di portarle lontane”.

Invece a me era scesa nel palmo della mano e questo mi ha fatto impressione perché se l’avessi piantata in un vaso e poi in terra come ha consigliato Remo, se me ne fossi preso cura, sarebbe nato un nuovo acero e tutto questo sembrava avere senso compiuto, come un cerchio che si chiude, per farmi fare pace con il padre che non sono riuscito a essere, per lasciare fluire le cose. Con leggerezza, come l’abbraccio dato a quell’albero prima di andarmene sentendoci dentro il respiro di mia figlia.

Fabrizio Tummolillo è nato nel 1970 a Milano. Vive nel Piacentino con moglie e figli. Lavora come educatore ed è giornalista professionista anche se ormai l’unico editore che ne pubblica gli articoli è il prete del paese sul bollettino parrocchiale.

Selezione di racconti da XI Concorso “Il Corto letterario e l’illustrazione”, NARRATIVA (Scrivere il corto) ALBERI NEL MONDO ( Sezione dedicata a Maniglio Botti)

IL CAVEDIO associazione culturale e sportiva dilettantistica APS ———————————————– segreteria1997@ilcavedio.org

ANATOMIA DI UN FENOMENO INSOPPORTABILE E INSOPPRIMIBILE

di Giuseppe Geneletti

Ho chiesto a mio figlio Riccardo, 10 anni, cos’è la guerra. “È una m… la guerra è un combattimento tra Stati e anche tra bande rivali, come quella dei ragazzi della via Pal”. E noi italiani siamo in guerra adesso? “Mentalmente sì”. C’è solo il signor Vladimir Vladimirovič Putin (Vladimir significa “governo della pace”) che la definisce “operazione speciale”. La guerra è uno stato di fatto conclamato con effetti reali anche sui civili. Ricordiamo che dei 315 milioni di esseri umani uccisi nei cento massacri più rilevanti della storia, 266 milioni sono civili, a fronte di 49 milioni di soldati. La media dei civili morti durante le guerre è dell’85 per cento. Per evitare le conseguenze legali e politiche sancite dall’ONU, nessuno Stato è disposto a dichiararsi aggressore con una dichiarazione di guerra, mentre infiniti sono gli appigli per dichiararsi aggredito. Il modo più moderno e potente di coinvolgere i civili nei conflitti è attraverso la comunicazione. “Uno degli aspetti terribili della guerra è che radicalizza senza spazi per le riflessioni. C’è più propaganda che informazione che passa e si fa fatica a sapere la verità delle cose”, mi dice Marco Giovannelli, di VareseNews. Diventa sempre più chiaro che “c’è un nuovo attore predominante nella società iper-connessa, importante quanto i missili, che può determinare l’esito stesso del conflitto” aggiunge Michele Zizza, professore di Culture Digitali. “La comunicazione è alleata dell’Ucraina e nemica della Russia”.

LA GUERRA CON LE ARMI

Secondo l’ultimo ConflictBarometer nel mondo ci sono 359 conflitti di cui 220 violenti, tra i quali 40 guerre, di cui 21 ad alta intensità in Afghanistan, Libia, Siria, Turchia, Yemen, Congo, Etiopia, Mali, Burkina Faso, Nigeria, Mozambico, Somalia, Sud Sudan, Brasile, Armenia, Azerbaijan. La situazione in Ucraina era già considerata nel 2020 a livello 4 “guerra limitata”. Solo in pochi Paesi del mondo ci sono situazioni prive di conflitto.

La pace non è un bene diffuso, oltre che non garantito. Siamo sempre in guerra anche perché il business della guerra è immenso. Nel 2020, la spesa globale militare stimata corrisponde a 1.981 miliardi di dollari, di cui 778 miliardi negli USA, e252 in Cina. I maggiori importatori di armi sono Arabia Saudita, India, Egitto, Australia e Cina. Mentre l’esportatore per eccellenza è l’USA, seguito da Russia, Francia, Germania e Cina. Le nuove guerre sono una linfa vitale per questo settore. Piaccia o no è un settore strategico che contribuisce al PIL di molti Paesi, anche se spesso tendiamo a dimenticarcelo.

LA GUERRA SI COMBATTE CON IL PANE

Il motto pro-spese militari “Se vuoi la pace, prepara la guerra” di Publio Vegezio Renato si è rivelato una fandonia: nonostante la crescita delle spese militari i conflitti sono solo aumentati nel XX e XXI secoli. La crescita delle disuguaglianze, il sovraffollamento del pianeta e l’accelerazione del riscaldamento globale, sono solo alcune delle sfide che seminano i conflitti del presente e del futuro.

Una credibile politica globale di riduzione dei conflitti passa attraverso una perseverante politica democratica per i diritti sociali.

Soltanto una pace giusta è una pace veramente duratura. Pace è lavoro, distribuzione più equa di ricchezze e risorse, sviluppo sostenibile, pari opportunità di genere, istruzione. Pace è tutto questo insieme perché i diritti non si mangiano.

Giuseppe Geneletti è un giornalista pubblicista, associato alla redazione di VareseNews.it. Esperto di cambiamento organizzativo e innovazione, pubblica settimanalmente su temi di attualità economica, sociale e di interesse glocale.

Selezione di articoli da XI Concorso “Il Corto letterario e l’illustrazione”, GIORNALISMO ( Sezione dedicata a Pierfausto Vedani)


IL CAVEDIO associazione culturale e sportiva dilettantistica APS ———————————————– segreteria1997@ilcavedio.org

di Maria Novella Lombardi

Ci sono frasi che evocano in chi ascolta un’immediata adesione emotiva. Hanno in sé gli elementi di convalida di quanto enunciato, tanto da far apparire inutile ogni approfondimento critico. Capolavori della retorica, nella pubblicità costruiscono per il prodotto un primato di bellezza/desiderabilità associato a superiorità/qualità morali, in un binomio Kalòs Kai Agathos retaggio dell’antica Grecia.

Si pensi ai natalizi panettoni e pandori capaci di generare magicamente buoni sentimenti.

Una pretesa di veridicità che si estende oltre la relazione fra il claim e l’oggetto reclamizzato, investendo aspetti del vivere che con esso non hanno relazione.

Un tipo di frasi proprie anche della comunicazione politica, bandiere di posizioni giustificatorie di idee o condotte, delle quali, proprio in virtù di tali frasi, si afferma l’incontestabilità. Attualmente chi supporti l’ineluttabilità della reazione di Israele al brutale attacco di Hamas del 7 ottobre, ne cita una di Golda Meir, premier Israeliana al tempo della guerra dello Yom Kippur, “Noi potremo un giorno perdonarvi di avere ucciso i nostri figli, ma non potremo mai perdonarvi di averci costretto ad uccidere i vostri”. Potente, suggestiva, pronunciata a nome di un intero popolo, può essere suddivisa in due parti distinte.

La prima, che sancisce la magnanimità, superiorità e clemenza di un certo gruppo, “Noi potremo un giorno perdonarvi…”, funge da premessa alla seconda, in una sorta di sillogismo nel quale, dando per vera la prima parte, quella in cui ci si dice capaci di perdonare persino l’uccisione dei propri figli, diventa automatica la “verità” della seconda, ovvero che sia più dolorosa per chi la commette, l’uccisione dei figli altrui, esaltando ancora la superiorità morale prima sostenuta.

Ne deriva pure che la causa dell’impossibile perdono per le morti provocate, risieda non in sé, ma nella perfidia del nemico, tanto mostruoso da non lasciare spazio ad alternative e a “costringere” alle uccisioni dei suoi figli.

Si dà per comprovato che non vi siano altre scelte rispetto alla guerra, alla vendetta e all’annientamento, e che le possibili soluzioni siano state davvero tutte esperite.

Oltre alla demonizzazione, al nemico viene attribuita anche la disumanizzazione e la colpa, suggerita implicitamente, di non amare a sufficienza i propri figli, così da evitargli l’uccisione da parte di chi è stato “costretto” a farlo, non condannabile perciò per tale azione. Quel che più fa riflettere, è che attualmente la frase viene citata mentre l’operazione su Gaza è ancora in corso. È come se si pretendesse l’assoluzione preventiva per essere nuovamente “costretti” ad impietose azioni di guerra che causano la morte di civili e bambini, si badi, non già accadute, ma in corso d’opera e ancora da commettere! E lo si fa richiamandosi, loro come i loro nemici, ad un Dio ridotto a meschino tifoso dell’una o dell’altra squadra. Apparentemente costruita con una logica similare, di grande efficacia comunicativa, è un’altra frase, di Gabriel Garcia Marquez, che pare da segnalare. Anch’essa in un certo senso basata su un sillogismo e costituita da due parti correlate. La prima parte pare affermare un altezzoso privilegio, un dato di superiorità morale o materiale “Un uomo ha diritto di guardare un altro uomo dall’alto in basso…”, ma conclude imprevedibilmente negando la premessa, mutandone così il senso profondo: “… solo in un caso. Aiutarlo a rimettersi in piedi”. Nessuno fraintenda però, senza per questo sentirsi autorizzati ad averlo prima steso.

Selezione di articoli da XI Concorso “Il Corto letterario e l’illustrazione”, GIORNALISMO ( Sezione dedicata a Pierfausto Vedani)

IL CAVEDIO associazione culturale e sportiva dilettantistica APS ———————————————– segreteria1997@ilcavedio.org

di Mariachiara Ferraro

O Cedro che occupi la finestra del mio risveglio: dal colore delle tue fronde indovino l’ora e la giornata. Ti immagino ancora seme in terre lontane, e poi, giovane di pochi metri, sradicato e imbarcato con altri compagni alla volta del ricco Occidente, deportato ad abbellire i giardini dei suoi nobili e borghesi… Hai viaggiato a lungo per approdare chissà come di fronte a casa mia. O meglio, io sono approdata di fronte a te, che c’eri già da tempo, non so nemmeno quanto: dovrei chiedere al vicino, che sa tutto di tutti nel raggio di un chilometro – lui che ogni giorno spazza meticolosamente i tuoi capelli aghiformi dal suo vialetto, sul quale ti affacci da prima di lui e della sua scopa – che pure occupano il mio risveglio ogni mattina -, tu, enorme, eccessivo, esuberante, quasi fastidioso nella tua abbondanza. Tu c’eri quando da qui si vedevano i tramonti; e hai guardato impotente quando l’odioso condominio rosso inesorabile li ha coperti, con i suoi quattro piani, la sua banca, i bar e il parcheggio. Hai visto le formiche rosa, questa indaffarata razza umana, avvicendarsi ai tuoi piedi sempre più di corsa, sempre più piccole sotto di te, mentre diventavi il gigante che sei. Da quando sono arrivata sei sempre stato lì, alla finestra. Ci hai guardati dormire, piangere, ridere, cambiare posto ai mobili, preparare una culla; hai visto mio figlio crescere con te, con la tua folta chioma di velluto verde scuro, con la tua presenza silenziosa, sontuosa, impassibile. Finché le formiche rosa si sono scocciate di tanta abbondanza, della tua pioggia di aghi che inondava la strada, i vialetti ordinati, le grondaie, i tombini… e così hanno pagato i ragnetti rosa per arrampicarsi sui tuoi rami e fare del tuo manto di velluto tristi brandelli penzolanti, con troppo cielo dietro. E tu, impassibile e nobile – sono sicura che allora hai provato qualcosa… vergogna? Forse rabbia? Io di certo pena. Quando quel giorno sono tornata a casa e ti ho trovato così, ho pianto. Oggi, due anni dopo, ti sei rifatto una vita, ago dopo ago. Durerà? Finché gli insetti rosa non si riterranno ancora padroni di farti ciò che vogliono, perché tu, muto, non protesti, per ora. Mio figlio mi chiede a volte, con un velo di timore: “Ma se cadesse, da che parte cadrebbe? Sulla nostra casa?”. Non gli so rispondere. Ma se in una notte di tempesta cadrai da questa parte, non farci troppo male… So che sarà perché volevi abbracciarci prima di andartene, dopo tanta vita a guardarci soltanto. Chissà se sarà più dolce morire, tra le tue braccia… o Cedro, venuto dal Libano alla mia finestra.

Mariachiara Ferraro. Cantante, amante della musica unita alla poesia nei lieder dei poeti romantici tedeschi, nella poesia di Fernando Pessoa nel Fado portoghese, delle voci di donne che hanno portato al mondo parole intense, sulle ali del canto.

Selezione di racconti da XI Concorso “Il Corto letterario e l’illustrazione”, NARRATIVA (Scrivere il corto) ALBERI NEL MONDO ( Sezione dedicata a Maniglio Botti)

IL CAVEDIO associazione culturale e sportiva dilettantistica APS ———————————————– segreteria1997@ilcavedio.org

Nevica nell’oscurità. Mario è in piedi sopra il tetto di un garage, indossa un berretto di lana e una maschera da sub. La barba incolta, gli occhi verdi del padre.
Mario era venuto alla luce trentuno anni fa, dodici giorni oltre il termine, non l’unico ritardo per lui. Sua madre, osservandolo crescere, diceva: forse gli manca un gradino per salire al primo piano, non importa, quello che conta è che sia un bimbo felice. Zio Gino, dal canto suo, asseriva che ragionare su rampe di scale fosse più realistico.
Era solito dirgli: Sei un bravo ometto, ma non prendere mai l’iniziativa. Mario annuiva ignaro del significato. Le buscava dalla mamma, raccoglieva castagne nel bosco dietro via Lozza in autunno, e a volte, anche se gli era proibito farlo, imboccava la strada che porta in centro. Ma l’iniziativa? Quando arrivò la fine del mondo, Mario dormiva. Non si accorse delle grida, delle sirene ululanti, senza l’apparecchio acustico era come fosse in fondo al mare.
Si svegliò e dopo essersi infilato nelle orecchie gli aggeggi che lo riportavano nell’universo conosciuto, fece quello che fanno tutti, anche i più intelligenti, andò in bagno. Dalla tapparella filtravano i primi raggi di sole. Sentì uno scoppio. Pensò a petardi. Si accostò alla finestra. Vide il signor Meo nel piazzale che cercava di salire in auto. Intorno a lui una decina di persone. Strane persone. Una era nuda dalla cintola in giù. Gli si avvicinavano lentamente. Il signor Meo impugnava una pistola, e sparava. Li colpiva e quelli continuavano ad avanzare, poi uno gli afferrò il braccio portandoselo alla bocca. Il signor Meo urlò.
Mario si precipitò in camera della madre e si fermò sulla porta. Zio Gino era stato molto chiaro in merito, “Puoi andare dove vuoi in questa casa, ma se ti trovi davanti a una porta chiusa, bussa”.
Bussò. Attese non meno di dieci minuti immobile poi, non avendo risposta, aprì. Era vuota. Tornò alla finestra del bagno, nel piazzale c’era gente che mangiava altra gente.
Sono passati tre mesi da allora. Adesso nel suo rifugio a cielo aperto sa di aver commesso un errore, scendere in centro fino al negozio di giocattoli di via Corti gli era sembrata una buona idea. Il posto era facile da raggiungere, si percorreva viale Cinto, e dopo la sopraelevata si proseguiva per via Verdi. Ora però sono due chilometri pieni di insidie. Eppure era quasi giunto alla meta, una trentina di passi dal suo regalo di Natale.
Lo individuarono. Corse veloce, era bravo in questo, e gli inseguitori persero terreno. Ma da ogni angolo ne spuntava uno. La piccola costruzione fu la sua salvezza.
Qui si gela. La neve ghiaccia il vetro della maschera. Mario ha paura, tra quelle figure che lo circondano ce n’è una nuda dalla cintola in giù.

di Gian Paolo Zoni

Il racconto del giorno feriale (dagli autori della nostra scuola di scrittura SCRIVERE IL CORTO)


IL CAVEDIO associazione culturale e sportiva dilettantistica APS ———————————————– segreteria1997@ilcavedio.org