RACCONTO DI GUERRA AL QUOTIDIANO

Di Pierre Ley

La guerra, o meglio le guerre, costituiscono per noi oramai un consueto sottofondo nel flusso quotidiano dell’informazione globalizzata, quasi fosse un’interferenza fisiologica alla quale ci siamo in qualche modo assuefatti. Per alcuni di noi, però, la guerra è molto più presente: è entrata nelle nostre vite con prepotenza e con tutto il suo corredo di paura e indicibile orrore. Tutti siamo rimasti scioccati dall’inimmaginabile mostruosità dell’attacco del 7 ottobre scorso e dall’inevitabile, spietata ritorsione. E tutti continuiamo a soffrire per le vittime che aumentano di giorno in giorno.

È proprio questa guerra, così orrenda e mediatica, ad essere ora parte anche della mia vita. Lo è, per così dire, per procura: mio fratello, chirurgo ortopedico da sempre impegnato sul fronte umanitario prima a fianco di Gino Strada poi sotto la bandiera del Comitato Internazionale della Croce Rossa, si trova attualmente all’interno della striscia di Gaza. Dal 27 ottobre, giorno in cui è entrato con l’unica équipe medica internazionale arrivata dopo l’inizio del conflitto, la guerra, quella guerra, è diventata una presenza costante anche nella mia quotidianità.

Non è certo la sua prima volta: dall’Afghanistan, alla Sierra Leone, alla Cambogia, all’Etiopia, la lista dei conflitti di cui è stato testimone attivo è lunga, ma mai come oggi aveva visto una tale intensità di fuoco e una tale quantità di morti, feriti e mutilati in così poco tempo e su un territorio così ridotto. Siamo al telefono, come quasi tutti giorni, quando c’è rete. “Li senti? Sono i razzi che stanno lanciando da qui vicino all’ospedale. Tra poco arriverà la replica israeliana, speriamo non ci capiti in testa, anche se ‘loro’ sanno esattamente dove ci troviamo, e la zona di sicurezza è di 150 metri. Capirai. Se cade uno di quei cosi anche a un chilometro qui saltano i vetri! Poco fa è arrivata una di quelle bombe di profondità. Si è sollevato il pavimento della sala operatoria!”. Mio fratello mi racconta così la guerra vera, e la sento come se mi stesse chiamando dal giardino di casa. In sottofondo sento anche i lamenti dei pazienti lasciati senza sedativi o analgesici, perché non ce n’è, e tutti i suoni di un ospedale allo stremo, stipato all’inverosimile.

Quando non è in guerra, siamo soliti scambiarci ricette e foto. Ha voluto farlo anche ora. Da Gaza qualche scatoletta, e le razioni umanitarie che accendono una discussione tra di noi. Vedo sull’etichetta “spaghetti alla bolognese”. “Non esistono gli spaghetti alla bolognese! È un affronto alla tradizione italiana!”, sbotto. Lui ride, “non sono così male. Che dici, vado a lamentarmi?”. Un altro giorno mi manda foto di frutta e verdura fresca appena arrivata dal valico di Rafah. Mi chiama: “mi dici la ricetta della ratatouille di mamma?”. Così inizio a spiegargliela, fornendo anche tutte le circostanze storiche, le similitudini con altri piatti del mediterraneo e di come si preparano. Ne salta fuori una versione fusion, mezza caponata siciliana e mezza ratatouille nizzarda, che battezziamo “ratatouille gazaoui”. Dall’inizio della missione ha perso peso. “L’unica cosa positiva finora” mi dice. Mi manda ogni giorno foto degli interventi, dei suoi casi. Sono abituato, ma sono inguardabili. Queste immagini non si vedranno mai né in televisione né sui giornali, non sono pubblicabili. Ma a qualcuno deve mostrare ciò che vede tutti i giorni, non può tenerselo dentro. Io non ci dormo, ma questa è la guerra, e per qualche momento durante il giorno, anche la mia guerra.

Selezione di articoli da XI Concorso “Il Corto letterario e l’illustrazione”, GIORNALISMO ( Sezione dedicata a Pierfausto Vedani)


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di Pierre Ley