di Mariachiara Ferraro

O Cedro che occupi la finestra del mio risveglio: dal colore delle tue fronde indovino l’ora e la giornata. Ti immagino ancora seme in terre lontane, e poi, giovane di pochi metri, sradicato e imbarcato con altri compagni alla volta del ricco Occidente, deportato ad abbellire i giardini dei suoi nobili e borghesi… Hai viaggiato a lungo per approdare chissà come di fronte a casa mia. O meglio, io sono approdata di fronte a te, che c’eri già da tempo, non so nemmeno quanto: dovrei chiedere al vicino, che sa tutto di tutti nel raggio di un chilometro – lui che ogni giorno spazza meticolosamente i tuoi capelli aghiformi dal suo vialetto, sul quale ti affacci da prima di lui e della sua scopa – che pure occupano il mio risveglio ogni mattina -, tu, enorme, eccessivo, esuberante, quasi fastidioso nella tua abbondanza. Tu c’eri quando da qui si vedevano i tramonti; e hai guardato impotente quando l’odioso condominio rosso inesorabile li ha coperti, con i suoi quattro piani, la sua banca, i bar e il parcheggio. Hai visto le formiche rosa, questa indaffarata razza umana, avvicendarsi ai tuoi piedi sempre più di corsa, sempre più piccole sotto di te, mentre diventavi il gigante che sei. Da quando sono arrivata sei sempre stato lì, alla finestra. Ci hai guardati dormire, piangere, ridere, cambiare posto ai mobili, preparare una culla; hai visto mio figlio crescere con te, con la tua folta chioma di velluto verde scuro, con la tua presenza silenziosa, sontuosa, impassibile. Finché le formiche rosa si sono scocciate di tanta abbondanza, della tua pioggia di aghi che inondava la strada, i vialetti ordinati, le grondaie, i tombini… e così hanno pagato i ragnetti rosa per arrampicarsi sui tuoi rami e fare del tuo manto di velluto tristi brandelli penzolanti, con troppo cielo dietro. E tu, impassibile e nobile – sono sicura che allora hai provato qualcosa… vergogna? Forse rabbia? Io di certo pena. Quando quel giorno sono tornata a casa e ti ho trovato così, ho pianto. Oggi, due anni dopo, ti sei rifatto una vita, ago dopo ago. Durerà? Finché gli insetti rosa non si riterranno ancora padroni di farti ciò che vogliono, perché tu, muto, non protesti, per ora. Mio figlio mi chiede a volte, con un velo di timore: “Ma se cadesse, da che parte cadrebbe? Sulla nostra casa?”. Non gli so rispondere. Ma se in una notte di tempesta cadrai da questa parte, non farci troppo male… So che sarà perché volevi abbracciarci prima di andartene, dopo tanta vita a guardarci soltanto. Chissà se sarà più dolce morire, tra le tue braccia… o Cedro, venuto dal Libano alla mia finestra.

Mariachiara Ferraro. Cantante, amante della musica unita alla poesia nei lieder dei poeti romantici tedeschi, nella poesia di Fernando Pessoa nel Fado portoghese, delle voci di donne che hanno portato al mondo parole intense, sulle ali del canto.

Selezione di racconti da XI Concorso “Il Corto letterario e l’illustrazione”, NARRATIVA (Scrivere il corto) ALBERI NEL MONDO ( Sezione dedicata a Maniglio Botti)

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Una volta pensavo a una storia da scrivere, e avevo già deciso come realizzarla. Il periodo da raccontare era di vent’anni e avevo pensato di partire dal fondo, dall’ultimo mese, e poi riprendere la vita del protagonista con vari flashback.  Mi è venuta fuori una storia lineare che parte dalla sua nascita e si conclude dopo vent’anni. Questo per dire che nel nostro lavoro ritroviamo l’imprevedibilità della vita. E voi vorreste rinunciarvi in cambio di una struttura preconfezionata? Personalmente preferisco le strutture complicate, mi ci trovo a mio agio perché io sono una persona complicata, ma la vita è formidabile, e io la conosco con la mia fatica sulla pagina bianca. Se seguissi le trame dei miei maestri perderei il bello dell’atto creativo. Da giovane lessi l’Ulisse di Joyce, considerato uno dei romanzi più importanti della letteratura moderna, e siccome volevo fare lo scrittore poi comprai un libretto che ne esaminava la trama e la struttura. Dopo poche pagine lo abbandonai. Ne presi un altro, e la stessa cosa. Comprai allora quello del suo maggior critico e conoscitore, e qui per la verità arrivai a pagina 40. Tutto interessante, ma non era quella lettura e quello studio che mi aiutavano davvero. E adesso, avendolo nominato, approfitto di Joyce e del suo Ulisse. Dieci anni per scriverlo. Mille pagine, alla media dunque di cento pagine all’anno. Vi pongo una domanda. Che pensate facesse Joyce in quei dieci anni? Lavorava al suo romanzo, certo. Ma quando andava a teatro alla sera con la sua Nora, oppure quando dava lezioni d’inglese a Italo Svevo, che c’era nel fondo della sua mente? Sempre lui, l’Ulisse che stava scrivendo. La sua vita era in quelle pagine bianche che voleva scrivere e poi in quelle già scritte che doveva riscrivere.

Riprendo una frase detta al primo incontro. La scrittura è una via di conoscenza privilegiata. Un racconto scritto bene mi ha dato soddisfazione. Che cosa mi darà un romanzo? Sono in grado di affrontarlo? Ci provo. Sono qui per questo.

continua il 27 aprile

Abramo Vane, giornalista e scrittore, insegna alla Scuola di Scittura delle Edizioni IL CAVEDIO. Ha pubblicato libri di narrativa, d’arte, di poesia.


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di Benedetta Pivetti

– Ben tornata! Da dove arrivi?

– Dalla cena coi colleghi, te l’avevo detto.

– Ma è quasi l’una di notte, un po’ tardi per una cena, non trovi?

– Lo sai come vanno a finire queste serate, Fabio. Abbiamo aspettato un sacco, c’era il locale pieno, poi abbiamo preso tutto, dall’antipasto all’ammazza-caffè, poi siamo rimasti fuori a chiacchierare nel parcheggio e c’era Mauro che era pieno e dava spettacolo.

– Strano…

– Cosa strano? È andata così. Perché sei sospettoso? –   Strano perché io ero nel parcheggio dalle undici e mezza, e non c’era nessuno di voi.

– …

– Stai attenta a quello che dici Bea.

– Fabio, aspetta. Prima ho dimenticato di dirti che abbiamo accompagnato Mauro a casa dopo le undici. Non si reggeva in piedi, non poteva guidare, capisci?

– Che combinazione, proprio prima che arrivassi io.-   Sì, devo aver perso la cognizione del tempo, ho bevuto anche io, mi conosci.

– Un’ora e mezzo per riaccompagnarlo a casa? E non capisco nemmeno perché ci sia andata anche tu.

– Perché eravamo tutti insieme! Poi siamo rimasti davanti a casa sua a chiacchierare. Perchè questo interrogatorio? –   Guarda come sei diventata brava a raccontare palle. Ma chi ho sposato?

– Cosa stai dicendo Fabio? Sei fuori.

– Bea, è un po’ che ti osservo, sei sempre distratta, attaccata al cellulare, credi non me ne sia accorto? Cosa mi nascondi?

– Non ti nascondo nulla e tu sei paranoico.

– Porca puttana, Beatrice, io ero già lì, ti ho vista salire sull’auto di Carlo e andare via con lui. Adesso che ti inventi? Sentiamo. –   Lo sai benissimo che con Carlo ci conosciamo da una vita, mi ha solo chiesto di fare due chiacchiere mentre riaccompagnavamo Mauro a casa, che poi lui doveva rientrare.

– Brava, continua a prendermi per il culo.

– E tu invece, non mi avevi detto che restavi a casa? Perché sei venuto a spiarmi? Forse che prima sei passato dalla tua ex che è ancora lì che ti aspetta e guarda caso abita proprio vicino al ristorante?

– Hai un bel coraggio.  Cosa c’entra Maria adesso? Ti ho beccata io in fallo, sono dieci minuti che inventi storie e hai la sfrontatezza di attaccare tu.

– Beh, non sarebbe mica la prima volta, credi non lo sappia? Hanno visto la tua macchina parcheggiata sotto casa sua diverse volte.

– Sì, sono passato da lei qualche volta. Voleva parlarmi, mi ha supplicato e non potevo dirle di no.

– Ma dimenticarti di dirmelo, sì, evidentemente.

– Era inutile farti ingelosire per niente, Bea. E cos’è quella lacrima adesso?

– Nulla, lascia perdere.

– Dimmi cosa è successo prima con Carlo, su.

– Niente di male, Fabio. Come tra te e Maria, del resto. E ora vorrei andare a dormire.

Benedetta Pivetti. Nata e vissuta in Emilia, nel 2023 si trasferisce in Liguria. Dopo gli studi economici, si è sempre occupata di amministrazione in azienda. Appassionata di lettura e parapendio, scrive racconti per diletto prediligendo le relazioni umane e amorose.

Selezione di racconti da XI Concorso “Il Corto letterario e l’illustrazione”, NARRATIVA (Scrivere il corto) RACCONTI D’AMORE ( Sezione dedicata a Maniglio Botti)

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CARTE IN TAVOLA *

Suona strano ma il momento più importante di un mistero è quando si dissolve. Gli eventi che parevano inspiegabili giungono alla necessaria spiegazione. All’oscurità segue la luce e l’intelligenza vince sulla confusione del mondo.  La scoperta del colpevole e la sua cattura sono le classiche conclusioni. Però ci sono altre soluzioni perché a volte, come si è detto a proposito della trama, conosciamo già l’assassino e quello che conta è che si risolva l’enigma, che si comprenda il meccanismo del delitto. Oppure che giunga al successo la caccia intrapresa da chi investiga. In genere al lettore non piace un assassino che se la cava, salvo casi particolari, piuttosto è disposto a vederlo morire alla fine della storia.

Arrivare alla soluzione finale non è semplice: il percorso deve essere accidentato e graduale. Ad esempio una confessione inconsulta per un pentimento del colpevole è da escludere. Si deve mantenere l’effetto sorpresa ma senza esagerare con i colpi di scena fini a se stessi, e con casualità inverosimili.

I modi sono vari. Sempre divertenti e utili all’autore le scene madri in cui l’investigatore raduna tutti i sospetti (ricordate le molte volte di Hercule Poirot?) e racconta, anche al lettore, come è giunto alla scoperta dell’assassino. Sono state molto sfruttate anche da altri nel giallo classico. Un esempio: P.D.James in Copritele il volto: Di comune accordo decisero che la riunione avrebbe avuto luogo nello studio. Qualcuno aveva disposto le sedie a semicerchio intorno alla scrivania e qualcuno aveva anche riempito d’acqua una caraffa e l’aveva posta alla destra di Dalgliesh. Dalgliesh sedeva solo alla scrivania e Martin sedeva alle sue spalle. Man mano che entravano nello studio, scrutò a uno a uno gli indiziati.

In un finale d’azione invece l’autore, per far vivere in diretta la soluzione al lettore, lo porta con sé in un luogo dove si svolgerà l’atto finale, a volte critico e avventuroso o pericoloso, come in La sostanza del male di Luca D’Andrea: Lasciai andare il ramo proprio mentre il fango ci investiva. Il Bletterbach era trasfigurato in un’apocalisse di acqua, melma e detriti.

In qualche storia non proprio tutto viene concluso, qualcosa rimane in sospeso, per suggerire un seguito o rimandare la caccia allo stesso colpevole lungo una serie. Molto difficile da fare con efficacia e quindi sconsigliabile. Dall’esperienza di lettore trovo coinvolgente terminare il romanzo con un ultimo capitolo dopo la spiegazione finale, una specie di piccola epicrisi, a volte in un tempo successivo, in cui si dà un ultimo saluto ai protagonisti e si viene informati su quale sarà il loro futuro o come ritornano alla vita quotidiana dopo la crisi che hanno vissuto.

* Agatha Christie 1936

Angela Borghi, medico, ha lavorato in ospedale e ora si dedica alle sue passioni, soprattutto scrivere. Ha partecipato ad antologie di racconti e pubblicato quattro romanzi gialli: Delitto al Sacro monte, I misteri del convento di Casbeno, Che domenica bestiale e La ragazza con il vestito azzurro.


continua il 9 maggio 2024


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Un podcast a cura di Jacopo Bravo


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di Mario Trapletti

Gli era capitata in mano per caso quella fotografia, riaffiorata da uno di quei buchi neri che divorano il passato. Non la vedeva da anni. Anni…? Decenni, quasi cinque: aveva vent’anni, all’epoca. Un po’ sbiadita, magari, ma ancora capace di imporsi all’attenzione.

Un primo piano di… di Laura. Il cognome non lo ricordava. La sua ragazza di allora. L’aveva scattata lui, la foto, quando si erano lasciati. Quando lui l’aveva lasciata.

Sfiorò il dolce, triste viso di lei per togliere un qualcosa che le si era depositato sulla guancia sinistra, poco sotto l’occhio. Non se ne andava. Mosso da un vago presentimento, afferrò la potente lente d’ingrandimento che stazionava sulla scrivania, e mise a fuoco l’imperfezione dell’immagine.

Altro che imperfezione! Guardò e riguardò, e non c’erano dubbi: l’istantanea aveva immortalato una lacrima.

Una lacrima…

La fissò intensamente, non seppe per quanto tempo; d’improvviso, si dilatò fino a raggiungere la consistenza di una sfera di cristallo. Che mostrava non il futuro, ma il passato. Si rivide, e si riascoltò, mentre pronunciava quelle frasi delle quali era convinto di aver perso il ricordo.

… perché io ti voglio bene, un bene da morire, ma non mi sento ancora pronto…

… sono giovane, voglio vivere, esplorare il mondo, ho paura che soffocherei chiuso nel bozzolo della vita di coppia…

… sei d’accordo anche tu, no, che la coppia è un po’ la tomba dell’amore… (aveva letto da qualche parte qualcosa del genere, più o meno. Era un periodo, quello, che se ne dicevan tante di cose così… maledetta ideologia)

… io con te sto bene, davvero, mi piaci, mi piace tutto di te, però… però… guarda che lo faccio anche per te, per non farti sentire troppo legata, per non limitare la tua libertà proprio adesso che ti stai aprendo al mondo…

… credimi, anche questa è una prova d’amore…

Le aveva pronunciate davvero quelle idiozie, e magari ci credeva pure.

La lacrima-sfera di cristallo gliele stava facendo scorrere davanti agli occhi dardeggianti di lampi incandescenti.  Pulsanti e dolorosi come i colpi di laser quando gli avevano saldato la retina.

Solo adesso capiva lo scemo che era stato, il tesoro che aveva gettato alle ortiche senza manco rendersene conto. Lei lo amava, e basta; le sue parole l’avevano ferita nel profondo, come adesso trafiggevano i suoi occhi.

Lo amava: quella lacrima, pur sola, era lì a testimoniarlo. E lui nemmeno l’aveva vista.

Adesso capiva; adesso che Laura era solo un refolo di memoria intriso di pungente, inutile rimorso.

… a vent’anni si è stupidi davvero, quante balle si ha in testa a quell’età…

Selezione di racconti da XI Concorso “Il Corto letterario e l’illustrazione”, NARRATIVA (Scrivere il corto) RACCONTI D’AMORE ( Sezione dedicata a Maniglio Botti)

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di Rosella Bottallo

Usciamo da Bilancio familiare. Questi corsi per la terza età sono interessanti. Forse un po’ generici, ma non tutti hanno le competenze per approfondire, si sa. Mentre cammina Luisa caccia in borsa fogli e foglietti. Gliene cade uno. Lo raccolgo, glielo porgo. 

«Ah, Giulio, eri a lezione? Non ti avevo visto».

Figurarsi, sono sempre nei banchi davanti, ma non sto a smentirla. Devo sfruttare la buona occasione che mi ha offerto la sorte.

«Luisa, ti va un caffè? Così intanto potrei spiegarti quella storia del rating. Sono sicuro che ci hai capito poco, mentre io qualcosa ne mastico. Mi ero pure iscritto a Economia, una vita fa».

Sta per replicare, ma la prevengo:

«La lezione di Astronomia di oggi è stata cancellata, l’ho letto nel sito. Lo sai, no?»

Non è vero. Ma di sicuro lei non si è connessa stamattina. Non le do tempo di trovare scuse: «Andiamo da Sforza, si sta tranquilli».

Sforza ha i migliori cannoli della città; per arrivarci si attraversa il boschetto di betulle, così romantico, con quei primi fiori giallini. Amenti, si chiamano. Le proporrò una sosta sulla panchina nel boschetto, ben riparata da quella siepe che l’ultimo orizzonte il guardo esclude. Eh, l’immortale Leopardi.

Magari poi glielo cito.

La panchina è libera, Luisa si siede. Percepisco un’ansia leggera nel suo respiro. Sarà l’emozione per questo invito inaspet tato? L’agitazione per una intimità preannunciata? Al ritorno della gita in Val Camonica le avevo tenuto il posto vicino a me sul pullman, ma era stata intercettata dalle vedovelle giulive. Peccato: sulle incisioni rupestri avrei potuto darle quelle informazioni che la guida aveva omesso.

Sento il suo respiro farsi più affannoso. Le prenderei la mano, se non fosse che lei sta rovistando in borsa. Cerca i fazzoletti. Non li trova, per fortuna ne ho sempre una scorta. Glieli passo. Quando si gira verso di me vedo una lacrima tremolare sul ciglio, ingrandita dalle lenti. Non immaginavo di suscitare tanto turbamento. O è che si diventa più facili al pianto, invecchiando? La lacrima scivola sotto gli occhiali, scorre lentamente sulla guancia. Quella lacrima sul viso è un miracolo d’amore. Com’è vero, Bobby.

«Luisa, allora tu…»

Le prendo la mano? La abbraccio? Luisa rovista ancora in borsa, ne tira fuori uno spray che si infila nel naso, poi aziona la pompetta. Una, due, tre volte per narice. Si alza mentre lo ripone in borsa.

«È un antistaminico, sono allergica alle fioriture primaverili. Magari il rating me lo spieghi un’altra volta. Non vorrei perdere Astronomia: oggi parla di stelle giganti rosse». Si era connessa.

1° classificata nella sezione RACCONTI D’AMORE Rosella Bottallo. Pensionata di lungo corso, ex prof, che non lavora a maglia e non gioca a burraco, senza nipotini, occupa il tempo libero con letture disordinate e scrivendo racconti. L’attività che la gratifica di più però è insegnare l’italiano ai migranti.

Selezione di racconti da XI Concorso “Il Corto letterario e l’illustrazione”, NARRATIVA (Scrivere il corto) RACCONTI D’AMORE ( Sezione dedicata a Maniglio Botti)

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LA TRAMA, dal racconto al romanzo

Abbiamo lavorato sull’esame di una singola pagina per acquisire la capacità e l’arte di riscrivere. Se non riusciamo a controllare una pagina, come possiamo pretendere di scriverne cento? Intendo scriverle bene. Scarabocchiarle siamo capaci tutti, fin dalla prima elementare. Ecco che siamo pronti, o almeno ci vogliamo provare. Qualcuno ha sopportato a fatica il lavoro sulla riscrittura, ma adesso tira fuori il suo romanzo dal cassetto e sa che ci deve metter mano. Mi ostino a dire che chi sa scrivere un “corto” è in grado di scrivere quello che vuole. La differenza, che ho già detto un paio di volte, è che l’impegno è dieci cento volte superiore. Passiamo a uno sviluppo molto più grande, e qualcuno suggerisce forse la parola giusta: trama. E di conseguenza la domanda. Come scrivere una trama? Già la parola incute timore. Sembra un mostro da affrontare. Faccio una scaletta all’inizio, parto dal semplice titolo e mi affido alla mia fantasia, come hanno dichiarato alcuni scrittori, oppure inserisco nella storia portante altre storie che la sostengono come contrafforti in una cattedrale gotica? Mi dispiace deludervi, ma anche in questo caso non ci sono regole, e se ci fossero non le voglio sentire.

Sarebbe troppo facile per il conduttore di un corso di scrittura tirare fuori decine di libri e esaminarne le trame. Sarebbe un bel lavoro, divertente. Molte scuole fanno questo, il tempo passa, anzi è passato in un attimo, me ne vado via contento ma non ho imparato niente che abbia migliorato la mia scrittura, o ben poco. Se il corso si risolve nel vedere quello che hanno scritto gli altri, mi sembra che sia un po’ come vendere fumo. In questo corso preferirei darvi l’arrosto, anzi, per la precisione, quello che voglio fare è di darvi una mano a cucinare. Il profumo dei vari Fante, Carver, Yourcenar, Marquez e di altri mille già lo conosciamo, e comunque non è questa la sede. Voi siete qui per migliorare la vostra scrittura. Esaminare le trame dei loro romanzi, i personaggi, le descrizioni è un esercizio piacevole. Le buone letture sono alla base del nostro lavoro, sono uno stimolo costante. Ne discutiamo volentieri e parliamo di cultura. Da ogni autore impariamo qualcosa, ma non è l’apprendimento concreto di cui abbiamo bisogno. Non è l’arrosto. Gli ingredienti ve li ho detti (osservazione, attenzione, concentrazione), i tempi di cottura pure (riscrittura attraverso umiltà e senso del distacco), spero che abbiate buoni fornitori (fantasia e volontà). Se volete mi metto alle vostre spalle e se in una pagina ci mettete troppo sale vi dico non mettete troppo sale qui, piuttosto usatelo alla fine. Consigli quanti ne volete, ma sul vostro lavoro, non su quello di altri. Dalla scrittura di altri trovate esempi e riferimenti, non la soluzione. Non perdete il fascino della pagina bianca. È vostra, solo vostra, ed è bianca. Dentro non ci sono strutture, trame predefinite. Scrivere è conoscere sé stessi. In questo percorso può succedere di tutto, esattamente come nella vita.

continua il 20 aprile

Abramo Vane, giornalista e scrittore, insegna alla Scuola di Scittura delle Edizioni IL CAVEDIO. Ha pubblicato libri di narrativa, d’arte, di poesia.


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IL CONTESTO STORICO, indispensabile

È incredibile come molti non danno importanza al contesto storico. Nemmeno quando si parla di storia. Figuriamoci quanto è facile non considerarlo nel lavoro di narrazione nel quale fantasia e invenzione sono elementi essenziali.

Angela, alla quale piace abbinare i suoi gialli all’arte, sta molto attenta a non sbagliare.

Mariangela, addirittura, non usa parole che in quel contesto storico non esistevano.

Anna Rosa, che insegna alle superiori, ricorda come il buon Lisander fa parlare Renzo e Lucia con termini e linguaggi che, da contadini, non conoscevano.

continua il 13 aprile

Abramo Vane, giornalista e scrittore, insegna alla Scuola di Scittura delle Edizioni IL CAVEDIO. Ha pubblicato libri di narrativa, d’arte, di poesia.


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IO DOVEVO UCCIDERE *

Dedichiamo qualche riga ai serial killer, figure che popolano la letteratura di genere da un certo momento in poi. La colonizzazione è stata inevitabile se pensiamo alla loro presenza inquietante nella cronaca e al fascino che esercitano, come personificazione di ciò che è primordiale e irrazionale in noi. Si è giunti al termine serial killer a partire dagli anni ’80 negli Stati Uniti e da lì sono nate ulteriori definizioni e classificazioni anche se gli assassini seriali sono molto più antichi, e non solo aldilà dell’oceano. A noi però interessa il loro ingresso trionfale nei “gialli”, dall’efferato mister Hyde di Stevenson a Norman Bates del romanzo Psyco, reso immortale dal cinema, al protagonista di Profumo di Süskind. E che dire dell’iconico Hannibal Lecter di Harris?

Per costruire il nostro serial killer possiamo ispirarci a quelli reali grazie ai quali siamo venuti a conoscenza di orrori inimmaginabili: feticismi, cannibalismo, devianze sessuali, necrofilia… Fondamentale il rimando alle motivazioni dell’assassino, anche se non si parla di movente in senso classico. Nelle nostre pagine dobbiamo approfondire la logica che ne determina il comportamento, l’esigenza di dominio, accennare a traumi infantili quasi sempre presenti, a fattori scatenanti come insulti psicologici ripetuti. Dalla realtà arrivano suggestioni abbondanti che ci aiutano a comporre il nostro personaggio e, quindi, la trama della storia. Si può sbrigliare la fantasia sulla tipologia delle vittime (donne, bambini ecc.), sulla presenza di sadismi, sulla tecnica di caccia, sulla scelta dell’arma, sull’organizzazione dei delitti. Come sempre però suggerisco moderazione: è più efficace catturare il lettore non con effetti speciali ma con arte sottile che lo seduca.

A volte è interessante porre l’accento sulla sfida con chi indaga. In questi tipi di gialli possiamo introdurre particolari investigatori come profiler o psichiatri. Il lettore si divertirà alle prese con messaggi lasciati sulla scena del crimine, modus operandi speciali, veri e propri enigmi da risolvere.

Un bel ritratto di serial killer lo trovate in Le strade dell’innocenza di James Ellroy:

Passò ore a fare pratica di judo e karate e a tirare al poligono, poi a fare flessioni, sollevamenti e addominali finché il corpo non gli diventò un unico dolore pesante. Tutto ciò servì solo da palliativo e si sentiva ancora tormentato dagli incubi. Andare a prendere giovani in strada era per lui come mimare oscene overtures: come banchi di nubi contorte che scrivevano il suo nome in modo che tutti gli abitanti di Los Angeles potessero leggerlo.”

* Clarence Hunt 1953

Angela Borghi, medico, ha lavorato in ospedale e ora si dedica alle sue passioni, soprattutto scrivere. Ha partecipato ad antologie di racconti e pubblicato quattro romanzi gialli: Delitto al Sacro monte, I misteri del convento di Casbeno, Che domenica bestiale e La ragazza con il vestito azzurro.


continua il 18 aprile 2024


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