Ai primi corsi di Scrittura mi presentavo con una dispensina lunga una pagina. Avevo l’attenuante che il corso si chiamava SCRIVERE IL CORTO, e così rispettavo il tema. Dall’altra facciata del foglio un raccontino sul valore dell’umiltà, che ho riportato in questa pubblicazione. E non solo, avendolo usato in rappresentazioni teatrali o di semplici presentazioni. Anch’esse nella formula del corto, massimo quindici minuti.

L’infinito salva tutti gli scrittori è un bel titolo, poetico, e rende il concetto. Non è adatto a un marketing su google dove si vende fumo, come i tanti che spacciano istruzioni di volo per aquile e polli.

É nato da un’esperienza condivisa in anni di frequentazione ai corsi, un lavoro di gruppo, tanto che nelle future pubblicazioni in qualità di autore sarà indicato il Progetto Florentis. Dunque un percorso che da qui è partito, e ha poi vissuto tanti sviluppi.

Ma l’Infinito dov’è?

Fiorenzo Croci



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L’amico si ferma, riflette,

non teme il vento e la notte,

ma teme la solitudine,

e del poco che ha da dividere,

apre la mano e lo disperde.

Dal mare davanti s’inarcano onde,

le ho viste cadere a pochi passi da lui,

lacrime scendono sulle guance incavate,

gocce luminose sulla superficie del mare,

e caro amico che cosa sei?

Ora che la durezza del tuo cuore non le ha trattenute,

ora che le sue mani si stringono ad altre mani

e non sono le tue.

Il bicchiere riempito già troppe volte

non reca sollievo ma pensieri di morte

l’ultimo sorso ha spianato la via

tolto infine il dissenso alla follia.

I piedi si avvicinano alla schiuma rabbiosa

son quelli di chi non ha più niente da offrire,

e tra le nubi la luna curiosa

lascia lo sguardo vagare nel chiaro,

così da notare solo un bicchiere,

dove prima stava l’amico mio caro.

Di Mauro Speri

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I pensieri di quell’americano con la giacca di pelle nella veranda del Continental riempivano la notte de Il Cairo.
Hanno ritrovato Emelius Brown, l’insigne egittologo, a vagare senza meta nel deserto dopo oltre una settimana dalla sua scomparsa, in preda alle allucinazioni.
Versa ancora in condizioni critiche per le gravi ustioni riportate.
Nessuna notizia, invece, dei membri della sua spedizione: se e quando Brown si sveglierà, potrà chiarire il mistero della loro sorte. Di tanto in tanto ha degli improvvisi, violenti attimi di lucidità.
Si riscuote, fissa il vuoto con gli occhi sbarrati, emaciato in viso; la pelle bruciata lo rende grottesco, una sorta di spettro abbronzato.
Farnetica, una litania che gli sale dallo stomaco, e in mezzo poche frasi appena comprensibili.
Quelle parole mi hanno convinto che il professore e la sua squadra fossero sulle tracce della vera sepoltura della regina Baketurel, grande sposa reale del Faraone Ramesse IX.
Sembra che un papiro rinvenuto da Brown raccontasse l’inganno con cui lo scriba Amenemopet fosse riuscito a nascondere la tomba della sua signora.
La soluzione si cela dietro il bassorilievo di un disco solare rinvenuto dal professore. Raffigura l’Occhio di Ra -il dio Sole dalla testa di falco -stretto tra due serpenti ornati della corona delle regine d’Egitto. Immagine insolita, sosteneva Brown, ma identica a un’altra presente nella falsa sepoltura: certo la prova di quanto affermava il papiro.
Il professore ripete ossessivamente questa frase: “…all’ora in cui Ra-Horakhty sarà al suo apice, fissa lo sguardo del cobra volto in direzione di Osiride e quegli ti rivelerà la via… “.
Credo sia la chiave per risolvere questo rompicapo.
L’americano afferrò il fedora posato sul tavolo accanto al whiskey e se lo mise in testa. Sono noto per il mio scetticismo verso ogni forma di magia o superstizione, continuò versandosi un altro mezzo bicchiere, ma questa convinzione ora vacilla.
Il mito narra che l’Occhio fu inviato da Ra nelle vesti della terribile figlia Sekhmet, “La Potente”, a punire gli uomini che gli si erano ribellati.
Feroce e spietata, quasi sterminò l’intera umanità bruciandola con il suo respiro di fuoco.
L’insolita gravità delle ustioni ritrovate sul corpo di Brown mi ha rammentato quella leggenda e suscitato un brivido di terrore.
Un uomo gli si accostò: – Il professor Jones? Henry Jones Junior?
L’americano annuì portandosi il whiskey alle labbra.
– Vengo dal Dipartimento delle Antichità. Il professor Brown è morto. Prima di spirare ha ripetuto a lungo questa parola: sekhem… Jones trasalì: Potenza!

Racconto di Daniele Bin, illustrazione di Lucia Casavola

Il racconto del giorno feriale (dagli autori della nostra scuola di scrittura SCRIVERE IL CORTO)

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di Angela Borghi

UN DELITTO AVRA’ LUOGO*

Siamo in tanti ad amare le storie di delitti, da quando E.A. Poe, tra i primi a raccontarle e a indicarne i percorsi, inventava gli enigmi di una camera chiusa. È stato un successo in crescendo dalle molte ragioni, riconoscibili già nella definizione di narrativa poliziesca nelle diverse lingue e paesi.

Il noir dei francesi rimanda al fascino oscuro di torbide atmosfere, di ritmi violenti, del sangue che scorre. La parola thriller sa di brivido, di ricerca del pericolo, di emozioni scatenate dalla suspense.

In Italia li chiamiamo gialli, per tradizione, dal colore della copertina di un settimanale che ha quasi cento anni e sembra immortale.

Nei mistery anglo-sassoni protagonista è il mistero. Indispensabile in un buon racconto o romanzo. Un gioco di occultamenti e illuminazioni fino alla rivelazione finale.

La crime story ci ricorda invece che alla base di ogni narrazione del genere c’è il crimine, meglio se uno o più delitti. E’ il delitto che ci attrae e ci interessa, segno della complessità della realtà e del lato oscuro della natura umana.

Ma il giallo è molto di più, contiene interi universi, storia passata e futuro, filosofia e temi sociali, sentimenti e ragione che vince sulla confusione del mondo.

Gli appassionati di storie di delitto e mistero vogliono mettersi alla prova. E’ una prova insidiosa perché si tratta di lanciare una sfida al lettore.

Leggere aiuta chi scrive. Diffidiamo di ricette infallibili: regole per il racconto di genere sono state scritte in passato ma puntualmente disattese da altri autori. Invece suggestioni dalle pagine dei grandi ci guidano a trovare gli ingredienti, gli accordi e i modi della nostra storia “gialla” che, pare incredibile, può essere racchiusa anche in un corto di poco più di duemila battute.

Possiamo imparare a iniziare dal finale senza sentirci eretici, permetterci di scardinare l’aristotelica unità di tempo e di luogo o magari assumere il punto di vista dell’assassino e simpatizzare con lui. Iniziamo i nostri discorsi sul giallo, che speriamo risultino lievi come deve essere la scrittura. Non bisogna dimenticare che, come dice Patricia Highsmith, “scrivere narrativa è un gioco e uno ci si deve divertire”.

*Agatha Christie 1951

Angela Borghi, medico, ha lavorato in ospedale e ora si dedica alle sue passioni, soprattutto scrivere. Ha partecipato ad antologie di racconti e pubblicato quattro romanzi gialli: Delitto al Sacro monte, I misteri del convento di Casbeno, Che domenica bestiale e La ragazza con il vestito azzurro.


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Aveva sempre un cappello in testa, i pantaloni sciupati, le scarpe un poco sporche, sembrava uno come tanti, invece lui era l’uomo che scriveva nel vento, e io ero la sua ragazza, da quando avevo vent’anni ero la sua ragazza, e lui scriveva nel vento, scriveva per me, e io non sapevo leggere nel vento, avevo imparato a leggere i libri, e la mia libreria si ingrandiva ogni giorno, ma il mio ragazzo non scriveva libri, lui scriveva nel vento, e io lo amavo, era così dolce, e tenero, lo amavo per quello che era, e non so neanch’io il perché, a volte lo dimenticavo, e poi lo amavo ancora di più, lui scriveva e io non capivo, però lo amavo, lo amavo sempre, e sentivo che mi perdevo in lui, e volevo fuggire, e poi tornavo con il mio amore che era tutta me stessa… e un giorno nel bosco sentii le foglie tremare, mi voltai ed era il vento, e nel vento lessi le parole, le parole che il mio ragazzo aveva scritto per me, e quelle parole sembrava di sentirle dalla sua voce, e il giorno dopo ancora, e ogni giorno leggevo nel vento… e quando noi due passavamo per strada, o stavamo con gli amici, eravamo solo marito e moglie, eravamo una coppia, come tante, e c’era la casa da mandare avanti, i bambini da crescere, il lavoro e la vita di tutti i giorni… e lui però scriveva nel vento, e io leggevo, e il nostro amore era il vento, e il vento sgretolava le montagne, e correva sul mare e tra le rose, e lui diceva che tanti scrivono ma pochi sanno leggere, e io allora gli dicevo che invece tanti leggono nel vento e pochi sanno scrivervi, e scherzavamo ancora come quando eravamo ragazzi, il tempo non era passato, e per noi c’era sempre un alito, anche quando nessuno lo sentiva… e io so una cosa, che alla fine del mondo, di tutti quei libri, di tutte quelle librerie e biblioteche, rimarranno solo le parole scritte nel vento.

di Anna Bentivoglio, illustrazione di Renato Pegoraro

Il racconto del giorno feriale (dagli autori della nostra scuola di scrittura SCRIVERE IL CORTO)

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