di Gianluca Fiore

Meno male, è giovedì. Oggi dovrebbe arrivare la coppietta di liceali, escono e vengono sempre a mettersi qui sotto, pioggia o sole. Ah, eccoli. Che teneroni…mano nella mano, si parlano fitto fitto, come se non si vedessero da un’eternità. Beh, ve lo devo confessare. Mi sento un po’ chioccia con questi due innamoratini qui sotto. È uno dei momenti più belli della settimana. Poi certo, c’è anche il weekend ma è una carica continua di bambini urlanti, sì, soprattutto quei maschietti votati all’arrampicata a tutti i costi, che barba…ce lo diciamo spesso tra di noi: meglio i giorni infrasettimanali, quando c’è poca gente e ti puoi godere la vicinanza delle persone.

Non credete che riusciamo a dircelo? Eh già, perché voi vi ritenete i soli bravi ed in grado di poter comunicare, vero? Ma io posso attraversare l’intero parco per farmi sentire dalle altre, sapete? Abbiamo tutto un sistema di comunicazione che a voi, bipedi inventori di inutilità, lascerebbe di stucco. A voi la parola – a cosa poi vi servirà mai, dato che spesso e volentieri neanche vi capite – a noi gli impulsi elettrochimici, che non sbagliano di una virgola. È così che la Quercia all’ingresso del parco mi dice chi sta arrivando. Lontano? Certo, l’ingresso è lontano, ma noi siamo tante! La parola d’ordine è inclusione, e anche aiuto. E pure se tra me e la Quercia all’ingresso c’è di mezzo l’Ontano, il Carpino, Il Leccio, le aiuole di Sassifraga, il gruppo di Betulle e il Faggio pendulo, beh, insieme facciamo la differenza.  Lo avevo letto nel giornale del vecchietto che viene qui sotto ogni venerdì: una roba tipo il telefono senza fili. In realtà, del telefono ne ho appena sentito parlare, ma ve lo posso garantire: tra noi ci capiamo benissimo.

E poi lo sapete che possiamo anche godere della forza reciproca? Ora vi stupisco: qualche giorno fa è arrivato il senza tetto che ogni lunedì passa di qui per farsi un pisolino. Beh, non è arrivata la solita nuvola rompipalle a dar fastidio? Ci siamo detti ma guarda che insolente, ora ci pensiamo noi. Sarebbe sufficiente un po’ di sforzo per piegare le nostre chiome e proteggere il dormiglione. Oh: detto, fatto. Mi è arrivata un’ondata di energia dalle altre e questo mi ha aiutato a piegare i rami fino a proteggerlo. Forte, eh? E pensare che tutti ci credono senza anima, esseri immobili con una vita senza pensieri, senza sforzi, senza empatia. Se solo ci si fermasse un po’ più a ragionare…

Beh ora scusate, a proposito di esseri vegetali ora ho un mucchio di cose da fare. Sto giusto aspettando al varco il gruppo di giovani scoiattoli che da qualche tempo ha preso casa qui nel parco. Corrono a tutte le ore, e quando c’è da passare da una all’altra di noi non chiedono neanche se si può. E va bene un po’ di sfrontatezza giovanile, ma insomma chiedere permesso mi sembra il minimo, non trovate? Ora li fermo e gliene dico quattro.

E poi? E poi niente, continuo la mia intensa giornata di relazioni. Mica siamo come voi, che a un certo punto vi spegnete senza un motivo apparente. Beh, arrivederci. E tornate a trovarmi, eh, tanto…chi si muove?

Gianluca Fiore. Uno dei pochissimi romani che ha deciso di fuggire dalla Capitale, che oramai ritiene un luogo invivibile, per contaminare il Nord con la sua romanità. Amante, tra le tante cose, della bella scrittura: mezzo per esplorarsi, conoscersi e riconoscersi.

Selezione di racconti da XI Concorso “Il Corto letterario e l’illustrazione”, NARRATIVA (Scrivere il corto) ALBERI DAL MONDO ( Sezione dedicata a Maniglio Botti)

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di Agnese Ilaria Telloni

C’era una volta una margherita, in un grande prato verde. Era spuntata un giorno di primavera, di mattina presto, dopo uno scroscio improvviso.

Le era capitato di nascere sul bordo di un campo di calcio di provincia. In quel prato si sentiva una delle tante, e mai nessuno che si accorgesse di lei. Se non ci fosse stata, di sicuro non avrebbe fatto differenza.

Lì ogni domenica tante scarpette colorate le passavano vicino. Quando arrivavano veloci, con tutta la loro foga, facevano tremare la sua corolla, e ogni volta pregava di non essere travolta. Sentiva un rumore sordo quando colpivano il pallone o si scontravano fra loro. Le grida che riempivano l’aria le mettevano paura, ma erano sempre meglio del silenzio che la avvolgeva negli altri giorni della settimana. Di domenica non pensava e tra tutti quei colori, quelle urla, quell’energia, la vita le sembrava dolce.

Un giorno qualsiasi se ne stava assopita sotto il sole tiepido, quando sentì dei passi leggeri. Due scarpe bianche, anzi, quattro.

Non correvano, non facevano rumore. Il loro incedere sembrava una danza.

Si muovevano lente e in certi momenti si fermavano, vicine vicine, a far cosa non riusciva a vederlo. Due di quelle scarpe a volte, di fronte alle altre, si alzavano sulle punte.

Non calciavano un pallone. Non c’erano grida, non c’erano tonfi, né boati.

Solo quelle quattro scarpe, intrecciate a due a due.

Solo dei sussurri lievi e ogni tanto, così le pareva di sentire, il fruscio di una carezza.

A un certo punto accadde una cosa inaspettata: quelle scarpe le si avvicinarono, vide un ginocchio a terra e una mano che piano piano si accostava a lei. Quella mano le sfiorò lo stelo. Ebbe un brivido, la colse il terrore di essere strappata via. Pensò al prato, ai suoi giorni tutti uguali e in un attimo se ne innamorò. Le piombò addosso come un pugno l’indifferenza del piccolo mondo che abitava, e ne provò dolore.

Poi udì una voce che diceva: “Questa è per te, ma la lasciamo qui, la lasciamo vivere”.

Un’altra voce, soave e calda come la luna nelle notti d’estate, rispose: “È nostra, ricordatela, torneremo a vederla”.

Quel giorno la margherita scoprì di essere felice.

Non era più una delle tante. Era lei, proprio lei il fiore vivo che le quattro scarpe bianche avevano scelto. Era felice che quei passi attenti, grati di ogni raggio di sole e di ogni alito di vento che potevano condividere, si fossero accorti di lei. Sarebbero tornati, era certa.

Da quel giorno, ogni giorno li aspetta, coi suoi petali bianchi, inebriati di luce, finalmente fieri della propria preziosissima unicità.

Agnese Ilaria Telloni, ricercatrice in Didattica della Matematica, è sempre in bilico fra la fascinazione della matematica e la passione per la letteratura. Ha pubblicato articoli e saggi di ricerca scientifica. Nel 2011 ha vinto il premio L’Oreal Italia “Per le Donne e la Scienza”.

Selezione di racconti da XI Concorso “Il Corto letterario e l’illustrazione”, NARRATIVA (Scrivere il corto) RACCONTI D’AMORE ( Sezione dedicata a Maniglio Botti)

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Mi è bastata una foto per innamorarmi e capire il rugby da spettatore, Jacques Fouroux, un metro e sessanta, un piccolo caporale, come veniva chiamato, in mezzo a quei giganti, e tutti con il capo chino, e lui a rimproverarli come scolaretti, a comandarli, a incitarli. Che meraviglia comprendere la vita così, senza leggere trattati filosofici, né versi stucchevoli, e nemmeno romanzi introspettivi, oppure leggere tutto ciò e ammettere con umiltà che il coraggio di un piccolo grande uomo esprime questo e altro, che lo sport è arte, e permettetemi, il rugby più di ogni altro, e dovendo scegliere un simbolo io penso a lui, a uno che non fa distinguo fra sentimento e ragione e ci mette tutto sé stesso… E Jacques Fouroux nel campionato di Francia scrisse solo brevi racconti, roba da appendice letteraria, i romanzi li consegnò direttamente alla Nazionale francese, da capitano prima e allenatore poi, e sempre quell’immagine con lui piccolo grande uomo in mezzo a quei giganti a capo chino… e il gioco della vita è descritto bene da Benedetto Croce nel suo Breviario di Estetica quando dice che l’opera d’arte apre spiragli attraverso cui guardare, l’artista promuove questo e lo spettatore ne usufruisce andando oltre, con la sua interpretazione… E l’imprevedibile ovale esce da quella mischia nella quale tutto è avvenuto, ma solo chi c’era dentro sa davvero che cosa è successo, lo spirito supera ogni cedimento, e Jacques mette la mano dove altri non osano e poi si distende, vola a filo d’erba come un cormorano sull’acqua, e plana nel fango, o sulla terra dura, e subito si rialza a sostenere l’azione, immagini e parole, note musicali e silenzi, colori e bianchi neri, ognuno di noi attraverso quegli spiragli ha visioni e conquiste proprie, e della vita si fa un’idea.

Continua il 31 agosto

Abramo Vane, giornalista e scrittore, insegna alla Scuola di Scittura delle Edizioni IL CAVEDIO. Ha pubblicato libri di narrativa, d’arte, di poesia.

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Di Gaetano Lo Castro

“Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi...” Genesi (2, 9)

C’era una volta, vicino a un paesino di campagna, un castagno millenario.* Il proprietario del terreno su cui sorgeva non era certo un tipo simpatico. Infatti una mattina apparve armato di una grossa motosega.

“Sei una montagna di legno, mio caro castagno. Il tuo pregiato legname mi farà guadagnare molti soldi.”

E mise in moto la rumorosa motosega. Proprio allora giunse un gruppo di ragazzi del paese vicino che era solito sostare sotto il vetusto vegetale. Tutti capirono il cattivo proposito del proprietario.

“Ma ha davvero intenzione d’abbatterlo?!”

“Io non devo render conto a voi di ciò che voglio farci del mio albero.”

“È un castagno millenario, e non ce ne son molti nel mondo!”

“Andate via dal mio terreno!”

I ragazzi gli si pararono davanti, determinati a difendere il raro albero, al quale erano assai affezionati. “Non lasceremo tagliare il castagno.”

“Per noi lui è come un vecchio compagno.”

“E arricchisce tutta questa campagna.”

L’uomo avanzò puntando contro di loro i rotanti denti della sua motosega.

“Qualcuno corra a cercare aiuto!”

“Ci vado io!”

Vennero diverse persone, tra cui alcune guardie municipali e il sindaco. L’uomo agitava la motosega sempre più da presso ai ragazzi, addossati contro il tronco del castagno. Fu disarmato. “Non potete proibirmelo! È di mia proprietà! Voglio vedere l’avvocato!”

“Questo è vero.” disse il sindaco. “Secondo la legge gli è lecito, anche se è una barbarie abbattere un albero millenario.” “Allora l’albero è perduto?” gli domandò con tristezza una ragazza.

“Purtroppo il proprietario è lui e può farne quello che vuole.” L’uomo ridacchiò.

“Un modo ci sarebbe per salvare l’albero!” esclamò un ragazzo. “Se il castagno lo compra il comune nessuno potrà più gettarlo giù!”

I presenti assentirono entusiasti. Il sindaco chiese al proprietario se era disposto a vendere il pezzetto di terreno interessato. L’uomo pensò che in questo modo poteva ottenere lo stesso un ottimo guadagno, risparmiandosi la fatica di tagliare il castagno. I due si misero d’accordo sull’importo. Tutti rimasero soddisfatti. In particolare i ragazzi, felici per esser riusciti a salvare il loro amico albero. Si presero per mano e cinsero il suo grosso tronco con un unico abbraccio. Il vecchio castagno sentì sulla sua rugosa corteccia il calore e l’amore delle loro giovani braccia.

“Non cade foglia, che Dio non voglia.” commentò commosso.

* Il Castagno dei Cento Cavalli si trova sulle pendici dell’Etna.  Con i suoi circa 4.000 anni è uno degli alberi più longevi d’Europa.

Gaetano Lo Castro. Autore siciliano, scrive romanzi, racconti, pièce, poesie. Molte sue opere sono state premiate e pubblicate in antologie. Un suo romanzo si è classificato 1° in un premio per inediti, è stato pubblicato, ed è giunto finalista in un altro concorso.

elezione di racconti da XI Concorso “Il Corto letterario e l’illustrazione”, NARRATIVA (Scrivere il corto) ALBERI NEL MONDO ( Sezione dedicata a Maniglio Botti)

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di Anna Marabelli


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Di Giuseppe Geneletti

Israele ha uno dei sistemi di intelligence più avanzati al mondo. Come è possibile che sia stato sorpreso dall’attacco di Hamas con una dimensione mai vista prima? Essendo la narrativa il primo obiettivo militare dei tempi moderni, sembra che il vero scopo dell’attacco terroristico di Hamas sia infrangere il mito della supposta invincibilità israeliana. Data l’infinita disparità di forze in campo, anche un esito limitato può essere considerato un successo capace di infiammare le velleità e il sostegno degli attori geopolitici ostili ad Israele.

Israele ha visibilità ovunque nel mondo e si muove per proteggere i propri civili e interessi. Ma ha un buco nero, la Striscia di Gaza. La più grande “prigione” del mondo, un rettangolo costiero di 360 chilometri quadrati (il doppio del comune di Milano), è abitata da 2 milioni di persone e completamente controllata da Hamas. È il braccio palestinese dei Fratelli Musulmani, un’organizzazione fondamentalista araba presente in vari Paesi, che si propone di combattere Israele con attentati terroristici.

La striscia è una spina conficcata nella parte sudoccidentale di Israele, come, paradossalmente, Israele è un cuneo della civiltà occidentale nel cuore del mondo arabo. Israele controlla lo spazio aereo e i confini marini e terrestri della striscia (tranne per il tratto egiziano), isolandola dal resto del mondo. La permeabilità della Striscia non è, però, zero. In superficie, ogni giorno migliaia di palestinesi vanno a lavorare in Israele e gli aiuti umanitari fluiscono dentro i territori. Sotto la superficie, inoltre, una rete di cunicoli collega internamente la striscia, estendendosi sotto il territorio dello stato ebraico. Sono strutture che hanno origine negli anni ’80 per facilitare i traffici illeciti e superare i vincoli dell’asfissiante controllo militare israeliano.

I tunnel hanno giocato un ruolo importante nell’effetto sorpresa dell’attacco dell’7 ottobre, fornendo basi logistiche per occultare la gran quantità di missili e gli spostamenti delle milizie. Pur essendo noti e sorvegliati da tempo, forse proprio per questo sono stati ritenuti non letali.

Due ricercatrici qualche anno fa analizzarono il fenomeno dei tunnel costruiti da Hamas per penetrare anche in territorio israeliano. Nicole Watkins e Alenia James hanno studiato lo sforzo sorprendente per realizzarli, concludendo: “Strutturalmente i tunnel sono ben costruiti e hanno permesso ad Hamas di portare a termine varie operazioni di attacco alle postazioni delle Forze di Difesa Israeliane.

L’idea che il gruppo sia stato capace di infliggere un danno, fisico, psicologico o politico, potrebbe essere considerato un successo”.

Israele non è stata a guardare. Come riporta Il Post: “Nel corso degli anni per Hamas divenne sempre più difficile costruire tunnel in territorio israeliano, anche perché Israele iniziò a progettare un muro sotterraneo, in cemento, per circondare la Striscia. Il muro è stato completato a marzo 2021: non si conosce la profondità esatta a cui arriva, ma i giornali israeliani hanno parlato di ‘decine di metri’. Israele sta inoltre costruendo ulteriori barriere in superficie lungo il percorso del muro sotterraneo, come una recinzione alta sei metri, che si estende per 65 chilometri”.

Tutto necessario e insufficiente. Mentre i servizi israeliani e italiani affondavano tragicamente lontano da casa nelle acque del lago Maggiore, brindando al successo di un’operazione anti-iraniana, lo Stato degli Ayatollah stava disegnando una micidiale mossa sullo scacchiere domestico.

Giuseppe Geneletti è un giornalista pubblicista, associato alla redazione di VareseNews.it. Esperto di cambiamento organizzativo e innovazione, pubblica settimanalmente su temi di attualità economica, sociale e di interesse locale.

Selezione di articoli da XI Concorso “Il Corto letterario e l’illustrazione”, GIORNALISMO ( Sezione dedicata a Pierfausto Vedani)


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di Valentina Ciocca

Mi accingo a scriverti questa lettera mentre tu sarai già salito sul treno.

Dopo la tua partenza gli ingranaggi del tempo devono essersi inceppati, sono passate solo poche ore o forse tutta l’eternità? Mi stringo al desiderio di te, immagini e pensieri indelebili scivolano via insieme alle lacrime. Ci siamo giurati amore eterno, rammenti? Sotto le fronde del salice piangente abbiamo suggellato il nostro impegno.

Sulle mani tracce invisibili di te, nel cuore il solco profondo della tua assenza.

Sorrido, ripensando ai nostri primi incontri, mani intrecciate e grandi speranze, baci umidi sotto la pioggia, ritagli di felicità nel grigiore quotidiano. Ci siamo amati fin da subito, con trasporto e dedizione, protagonisti di una storia romantica d’altri tempi, fatta di corteggiamenti, dichiarazioni, boccioli di rose. Un amore da favola, temo però che non avrà un lieto fine. Ti amo tra le ombre della sera e il sorgere del sole, quando l’anima è più fragile. Sei il mio tutto che riempie la vita di sapore. Conosco il suono del tuo cuore, onda dell’oceano che ritmicamente si infrange sugli scogli. Ti amo così, incessantemente. Sei dentro di me, presenza indissolubile, ti sento addosso mentre lascio fluire il respiro e la nostalgia di te. In fondo cos’è l’amore? Sentimento e dono, emozione e impegno. Siamo anime erranti legate da un filo invisibile, siamo l’urgenza di appartenerci e la necessità di incatenarci i cuori. Il destino ha disegnato per noi una trama diversa, ma io non sono pronta a lasciarti andare.

Il tempo forse mitigherà la sofferenza, modellando i ricordi, restituendomi un’immagine di te ancor piu’ dolce e forse ci darà le risposte che cerchiamo.

Mi immergo nella malinconia, mi lascio cullare dal calore dei ricordi.

Se l’amore è un viaggio, il nostro non è ancora giunto al capolinea, ma ha preso una deviazione, inaspettata o forse no. Provo ad accettare quello che non sarà.

Vorrei abitare nei tuoi sogni e sussurrare al vento la nostra melodia.

Sono certa che se ti metti all’ascolto, mi puoi sentire. Avverto segni inconsistenti di te nella brezza della sera, nella luce calda del tramonto. Cercami nell’andito più segreto dei tuoi pensieri, mi troverai lì, paziente, ad attenderti e forse ci ritroveremo ad accarezzarci le anime.

Arrivederci, amore mio. Abbi cura di noi.

Valentina Ciocca è laureata in giurisprudenza, vive in Val d’Ossola e fin da bambina coltiva la passione per i libri e la scrittura. Nel 2024 ha ottenuto due riconoscimenti all’interno della settima edizione del Premio letterario Dentro l’amore.

Selezione di racconti da XI Concorso “Il Corto letterario e l’illustrazione”, NARRATIVA (Scrivere il corto) RACCONTI D’AMORE ( Sezione dedicata a Maniglio Botti)

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RUGBY E ROMANZO, connessioni

Amo il rugby, più di qualsiasi altro sport di squadra, per i valori che esprime. Siamo in tanti, tifosi per questi motivi. La maggior parte però del pubblico che segue gli eventi sportivi non lo conosce e ignora le regole. Non ve le spiegherò. Le accennerò solo per sostenere il paragone, utile al nostro romanzo.

Oggi c’è Francia-Italia, accendiamo il televisore. Notiamo che spesso i giocatori sono in una mischia, otto francesi che spingono da una parte e otto italiani dall’altra. Non c’è spettacolo. Che cosa succede la sotto? Lo sanno solo loro, i sedici giocatori coinvolti, e noi non capiamo.

Poi la palla ovale esce da quella mischia e, anche per chi non ci capisce niente e non sa le regole, inizia lo spettacolo, rugby champagne. Un giocatore prende la palla, evita due avversari, ma non ce la fa ad andare avanti da solo. La palla per regolamento deve essere passata indietro, e così c’è un compagno a sostenere l’azione. Se non c’è, l’azione finisce lì.

La stessa cosa per le pagine che stiamo scrivendo. Un personaggio porta avanti la narrazione, ma la meta è lontana e non ce la fa da solo. Ha bisogno di altri personaggi, di descrizioni, dialoghi. Le pagine in questo modo procedono, a volte rapide, altre faticose. Insieme, vogliono diventare romanzo.

E quella mischia dove non c’era spettacolo? Tutto è nato là sotto, la fonte del gioco. È la nostra idea, che vuole esprimersi. Se vogliamo giocare il gioco della vita, l’energia compressa nel nostro cuore e nella nostra mente deve trovare il modo per venir fuori. Altrimenti rimarrà là sotto, inespressa.

Ecco che la palla esce, è ovale, quando rimbalza sulle pagine bianche è imprevedibile. Come la vita. I fogli si riempiono di parole, e corrono veloci.

Continua il 3 agosto

Abramo Vane, giornalista e scrittore, insegna alla Scuola di Scittura delle Edizioni IL CAVEDIO. Ha pubblicato libri di narrativa, d’arte, di poesia.

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Il divano avvolgente e la cioccolata calda rendono la domenica di pioggia e studio più sopportabile. Mio nonno si siede accanto a me: La Costituzione della Repubblica Italiana, che letture impegnative, in questa allegra giornata.
Mi prende in giro, sa che preparo l’esame di diritto costituzionale.
Guarda il punto in cui sono arrivata, e legge: art. 12, La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni, questi sono i colori sotto i quali ci riconosciamo.
Sai Laura, sono stato in Tripolitania, mangiavamo bucce di patate, notti all’addiaccio, dormivamo nell’acqua e al mattino sull’attenti per salutare il tricolore. Eravamo ragazzi, fieri della nostra patria, della bandiera, di quella divisa, e pronti a morire per difenderla. Eravamo soldati.
Un fiume di ricordi trasforma un pomeriggio di studio su carta in studio su vita, e non è nostalgia: mi trasmette fierezza, orgoglio di essere italiana. In casa mia c’è il tricolore, non in altre case, e questo mi rattrista. Quest’anno sono stata a New York e la Stars and Strips (stelle e strisce), la bandiera americana, sventola in ogni dove. Perché da noi no?
Laura per avere la luce, la speranza, dovete ricominciare a combattere per i nostri colori con passione, purezza di spirito. E sarà dura, il nemico è la dimenticanza, l’ignoranza, non conoscenza di ciò che è stato. Non scordiamo cosa significa “fonderci insieme”. Lo cantiamo con la seconda strofa dell’inno di Mameli. La rammenti vero? Te l’ho insegnata quando avevi cinque anni, forse eri troppo piccola.Poi l’hai, l’avete cantata a scuola, solo una parte, però l’avete fatto, in quinta elementare avevate il grembiulino blu e il nastro tricolore. È questa la strada giusta da percorrere per raccoglierci sotto un’unica bandiera, a voi ragazzi il compito di trasformare in certezza la speranza di tornare a essere un popolo.
I colori sono diversi, distinti, ma legati insieme: il verde, il bianco e il rosso. Al mattino alziamoci e salutiamo la bandiera, il nostro tricolore.
Nonno, non è facile combattere contro l’ignoranza, nel senso di non conoscere, come si può fare?
Non arrenderti, canta l’inno in piedi, metti la mano sul cuore e vedrai che altri ti seguiranno.
Vedrai che riuscirai.
Grazie nonno, finché ci saranno persone come te e ci aiuteranno,tutto sarà più semplice. Mi alzo e l’abbraccio. Ritorno al mio libro di costituzionale, nelle orecchie l’inno nazionale e quella seconda strofa che nessuno ricorda.
Sono passati molti anni da allora, e il tricolore a casa mia continua a sventolare. Tutte le mattine il pensiero va a mio nonno, che non c’è più, e al suo insegnamento. Porto la mano al cuore.

Racconto di Laura De Filippo

Il racconto del giorno feriale (dagli autori della nostra scuola di scrittura SCRIVERE IL CORTO)


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